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domenica 4 ottobre 2015

L’ultimo lampo del Novecento Appunti di lettura intorno a «Dello spirito libero» di Mario Tronti


di Damiano Palano

Il recente volume di Mario Tronti, Dello spirito libero. Frammenti di vita e di pensiero (il Saggiatore, Milano, 2015), può essere considerato l’autobiografia teorica di un «politico pensante». Partendo da quei «frammenti», questo articolo si propone rileggere le tappe che, nell’arco di quasi sessant’anni, hanno scandito l’itinerario teorico di Tronti. Perché forse solo oggi se ne possono cogliere fino in fondo le linee di continuità, i salti, le innovazioni. Questi appunti di lettura sono apparsi sulla rivista online Tysm

I. Nel cuore di tenebra

Già dalla fine degli anni Sessanta, dopo la conclusione delle riprese di C’era una volta il West, Sergio Leone iniziò a progettare un film sull’assedio di Leningrado. La pellicola avrebbe dovuto ispirarsi a The 900 Days. The Siege of Leningrad, un libro in cui il giornalista Harrison E. Salisbury ricostruiva la vittoriosa resistenza dell’Armata Rossa e dell’intera città dinanzi all’offensiva tedesca, durata dal giugno 1941 fino al gennaio 1943. Più volte accantonata, l’idea non fu però mai abbandonata da Leone, che tornò a elaborarla dopo aver girato C’era una volta America. Di quel progetto ambizioso rimangono solo alcune cartelle dattiloscritte, da cui è possibile ricostruire solo molto vagamente la direzione che Leone avrebbe imboccato per trasferire sul grande schermo la cronaca di Salisbury. Ma grazie a quegli appunti è possibile immaginare il lunghissimo, affascinante piano-sequenza che il regista aveva ideato come inizio. L’apertura doveva essere infatti un primo piano sulle mani di Dmitrij Šostakovič, che scivolavano sui tasti bianchi e neri del pianoforte, alla ricerca delle note della Sinfonia di Leningrado, la sinfonia che il musicista iniziò effettivamente a comporre nel 1941 e che fu eseguita per la prima volta, nella città assediata, un anno dopo. L’inquadratura si sarebbe dovuta poi lentamente allargare, scoprendo la figura del compositore e il suo appartamento. La macchina da presa sarebbe allora uscita dalla finestra della casa di Šostakovič, per scendere in strada e seguire i passi di due uomini che, armati di pistola, salivano di corsa su un tram, insieme ad altri civili. Sempre senza alcuno stacco, e senza l’interruzione della musica, la macchina da presa avrebbe percorso il tragitto del tram lungo le strade di Leningrado, guadagnando poi quota e scoprendo – con una veduta dall’alto – che quel tram procedeva, insieme ad altre decine di veicoli, verso la periferia: non verso le fabbriche, bensì verso il fronte, posto poco fuori dalla città, e oltre il quale l’occhio si spingeva fino a intravedere le artiglierie tedesche pronte al fuoco.
Quella scena iniziale – che difficoltà tecniche e finanziarie dovevano rendere quasi impossibile da realizzare – doveva naturalmente celebrare l’epopea di una resistenza eroica, una lotta di popolo all’apparenza sconfitta fin dai primi giorni eppure capace di opporsi vittoriosamente a un assedio estenuante da parte di forze tecnicamente superiori. Ma quella scena – almeno immaginata oggi, settant’anni dopo la fine della guerra, e dopo quasi un quarto di secolo dalla dissoluzione dell’Unione sovietica – doveva anche rappresentare molto di più. Se il piano-sequenza conclusivo di C’era una volta il West aveva fissato la chiusura dell’epopea western (e forse anche la fine del mito della frontiera), l’inizio del film sull’assedio di Leningrado doveva probabilmente condensare in un solo piano-sequenza il clima del feroce Weltbürgerkrieg che sconvolse l’Europa. E forse doveva anche dare una formidabile rappresentazione plastica di quello che fu il ‘cuore di tenebra’ dell’intero Novecento.
Per quanto l’accostamento possa apparire inopportuno, è quasi inevitabile riconoscere nelle pagine di Dello spirito libero di Mario Tronti la medesima prospettiva che doveva indirizzare quell’interminabile e mai realizzato piano-sequenza. Perché anche nei trontiani Frammenti di vita e di pensiero – come recita il sottotitolo del volume – ritorna quasi costantemente la convinzione che tutto il Novecento, o quello che conta del Novecento, si consumi nell’arco di pochi anni, e che soprattutto viva il suo culmine in quello scontro fatale di cui, in qualche modo, si può trovare un simbolo nella resistenza di Leningrado. E perché proprio dentro il ‘cuore di tenebra’ del Novecento – dentro quel passato e dentro quel vissuto – si può trovare la spiegazione del nostro presente. «Oggi», scrive infatti Tronti, «il vissuto è più potente del vivente, come arma per strappare alla realtà la conoscenza, la comprensione, il possesso, il giudizio» (DSL 10).

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