di Damiano Palano
Il recente volume di Mario Tronti, Dello spirito libero. Frammenti di vita e di pensiero (il Saggiatore, Milano, 2015), può essere considerato l’autobiografia teorica di un «politico pensante». Partendo da quei «frammenti», questo articolo si propone rileggere le tappe che, nell’arco di quasi sessant’anni, hanno scandito l’itinerario teorico di Tronti. Perché forse solo oggi se ne possono cogliere fino in fondo le linee di continuità, i salti, le innovazioni. Questi appunti di lettura sono apparsi sulla rivista online Tysm.
I. Nel cuore
di tenebra
Già dalla fine degli anni Sessanta, dopo la
conclusione delle riprese di C’era una
volta il West, Sergio Leone iniziò a progettare un film sull’assedio di
Leningrado. La pellicola avrebbe dovuto ispirarsi a The 900 Days. The Siege of Leningrad, un libro in cui il
giornalista Harrison E. Salisbury ricostruiva la vittoriosa resistenza
dell’Armata Rossa e dell’intera città dinanzi all’offensiva tedesca, durata dal
giugno 1941 fino al gennaio 1943. Più volte accantonata, l’idea non fu però mai
abbandonata da Leone, che tornò a elaborarla dopo aver girato C’era una volta America. Di quel
progetto ambizioso rimangono solo alcune cartelle dattiloscritte, da cui è
possibile ricostruire solo molto vagamente la direzione che Leone avrebbe
imboccato per trasferire sul grande schermo la cronaca di Salisbury. Ma grazie a
quegli appunti è possibile immaginare il lunghissimo, affascinante
piano-sequenza che il regista aveva ideato come inizio. L’apertura doveva
essere infatti un primo piano sulle mani di Dmitrij Šostakovič, che scivolavano
sui tasti bianchi e neri del pianoforte, alla ricerca delle note della Sinfonia di Leningrado, la sinfonia che
il musicista iniziò effettivamente a comporre nel 1941 e che fu eseguita per la
prima volta, nella città assediata, un anno dopo. L’inquadratura si sarebbe
dovuta poi lentamente allargare, scoprendo la figura del compositore e il suo
appartamento. La macchina da presa sarebbe allora uscita dalla finestra della
casa di Šostakovič, per scendere in strada e seguire i passi di due uomini che,
armati di pistola, salivano di corsa su un tram, insieme ad altri civili.
Sempre senza alcuno stacco, e senza l’interruzione della musica, la macchina da
presa avrebbe percorso il tragitto del tram lungo le strade di Leningrado,
guadagnando poi quota e scoprendo – con una veduta dall’alto – che quel tram
procedeva, insieme ad altre decine di veicoli, verso la periferia: non verso le
fabbriche, bensì verso il fronte, posto poco fuori dalla città, e oltre il
quale l’occhio si spingeva fino a intravedere le artiglierie tedesche pronte al
fuoco.
Quella scena iniziale – che
difficoltà tecniche e finanziarie dovevano rendere quasi impossibile da
realizzare – doveva naturalmente celebrare l’epopea di una resistenza eroica,
una lotta di popolo all’apparenza sconfitta fin dai primi giorni eppure capace
di opporsi vittoriosamente a un assedio estenuante da parte di forze
tecnicamente superiori. Ma quella scena – almeno immaginata oggi, settant’anni
dopo la fine della guerra, e dopo quasi un quarto di secolo dalla dissoluzione
dell’Unione sovietica – doveva anche rappresentare molto di più. Se il
piano-sequenza conclusivo di C’era una
volta il West aveva fissato la chiusura dell’epopea western (e forse anche la fine del mito della frontiera), l’inizio
del film sull’assedio di Leningrado doveva probabilmente condensare in un solo
piano-sequenza il clima del feroce Weltbürgerkrieg
che sconvolse l’Europa. E forse doveva anche dare una formidabile rappresentazione
plastica di quello che fu il ‘cuore di tenebra’ dell’intero Novecento.
Per quanto l’accostamento
possa apparire inopportuno, è quasi inevitabile riconoscere nelle pagine di Dello spirito libero di Mario Tronti la medesima prospettiva che doveva indirizzare
quell’interminabile e mai realizzato piano-sequenza. Perché anche nei trontiani
Frammenti di vita e di pensiero –
come recita il sottotitolo del volume – ritorna quasi costantemente la
convinzione che tutto il Novecento, o quello che conta del Novecento, si
consumi nell’arco di pochi anni, e che soprattutto viva il suo culmine in
quello scontro fatale di cui, in qualche modo, si può trovare un simbolo nella
resistenza di Leningrado. E perché proprio dentro il ‘cuore di tenebra’ del
Novecento – dentro quel passato e dentro quel vissuto – si può trovare la
spiegazione del nostro presente. «Oggi», scrive infatti Tronti, «il vissuto è
più potente del vivente, come arma per strappare alla realtà la conoscenza, la
comprensione, il possesso, il giudizio» (DSL 10).
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