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domenica 25 ottobre 2015

Intellettuali senza popolo.Leggendo «Scrittori e massa» di Alberto Asor Rosa



di Damiano Palano


Con «Scrittori e massa», Alberto Asor Rosa si propone di aggiornare l’interpretazione radicale fornita mezzo secolo fa in «Scrittori e popolo». La tesi dello studioso è che il «popolo» sia definitivamente tramontato e che la protagonista sia oggi la «massa». Il discorso di Asor Rosa rifiuta però di confrontarsi realmente con la questione cruciale della trasformazione del ruolo dell’intellettuale. E finisce col fondere insieme nello spettro della «massa» dinamiche profondamente differenti.


I. I giorni della «massa»

Il conformista non è forse il romanzo più importante di Alberto Moravia, ma le sue pagine restituiscono nitidamente la visione del rapporto fra individuo e società che contrassegna molti lavori dello scrittore romano. Dalla trama aggrovigliata del racconto emerge sicuramente un ritratto impietoso del ceto medio impiegatizio che si strinse attorno alla causa del fascismo. Ma l’Italia degli anni del regime era solo il simbolo di una condizione più generale, perché Moravia concepì il romanzo come una sorta di indagine sul «conformismo», e cioè sulle radici di quel fenomeno – sociale, psicologico, culturale – che spinge il singolo verso la «massa». Secondo lo schema che strutturava il romanzo, Marcello Clerici, il protagonista, cercava infatti costantemente di negare a se stesso la ‘diversità’ in cui si era imbattuto in occasione di un episodio traumatico dell’infanzia. E proprio per negare questa ‘anormalità’, tentava di confondersi nella «massa» degli individui mediocri. Così, sebbene il sostegno al regime esemplificasse chiaramente in cosa consistesse, in termini politici, il conformismo di Marcello, per Moravia non si trattava di un fenomeno circoscritto all’esperienza autoritaria. Marcello infatti si lasciava andare a un «compiacimento quasi voluttuoso» in tutte le occasioni in cui scopriva di essere «eguale agli altri, eguale a tutti», e cioè anche quando riconosceva di essere un consumatore identico a tutti gli altri che compravano «le sigarette della stessa marca» e che avevano «gli stessi gesti suoi» . E accettava con entusiasmo persino il disagio degli autobus gremiti di folla, perché proprio «dalla folla» gli giungeva «il sentimento confortante di una comunione multiforme», che andava «dal farsi pigiare dentro un autobus fino all’entusiasmo delle adunate politiche» . In altre parole, schiacciato nella ressa o confuso tra gli spettatori osannanti delle «adunate oceaniche», Marcello Clerici poteva trovare la conferma che «la sua normalità» non era «né superficiale, né abborracciata razionalmente e volontariamente, ma legata a una condizione istintiva e quasi fisiologica» .
Nelle formule utilizzate da Moravia, così come nello schema ‘socio-psicologico’ (certo piuttosto rozzo) che orientava la sua interpretazione del «conformismo», si poteva riconoscere l’eco lontana delle pagine freudiane di Psicologia di massa e analisi dell’Io, e forse anche di Psicologia di massa del fascismo di Wilhelm Reich o di Fuga dalla libertà di Erich Fromm. Ma, al tempo stesso, nell’immagine della folla conformista che dipingeva lo scrittore romano era facile ritrovare più di qualche consonanza con la celebre visione di José Ortega y Gasset, se non altro perché anche il pensatore spagnolo scriveva che la massa «travolge tutto ciò che è diverso, singolare, individuale, qualificato e selezionato» . La «massa» è d’altronde un grande soggetto novecentesco, da un certo punto di vista il vero protagonista del XX secolo, e Moravia non faceva altro che attingere a un ricchissimo patrimonio teorico, letterario e iconografico cresciuto a partire dalla metà dell’Ottocento. Come nelle pagine del Conformista, anche nella discussione teorica e nelle rappresentazioni artistiche precedenti si erano peraltro sovrapposte l’una sull’altra diverse immagini, non sempre connotate in senso politico. La «massa» e la «folla» erano infatti il simbolo della nuova condizione urbana, e cioè il simbolo di un’umanità fisicamente ‘ammassata’ nei quartieri delle nascenti metropoli. Ma erano anche la metafora di un nuovo stato psicologico, in cui i costumi della tradizione sembravano fare sempre meno presa, e in cui ciascun individuo diventava più volubile, più disponibile a seguire le mode, più indifeso dinanzi allo spettacolo delle merci. La «massa» era infine anche la «massa operaia», con tutto ciò che questo comportava nell’immaginario europeo fra Otto e Novecento: per un verso, una minaccia politica sempre sull’orlo di esplodere, e, per l’altro, una figura in cui andavano ad assommarsi tutte le insidie all’ordine sociale (l’alcolismo, il crimine, ecc.) . 
È con queste polimorfiche sembianze che lo spettro della «massa» torna anche in una riflessione sui caratteri distintivi della letteratura italiana dell’ultimo trentennio proposta da Alberto Asor Rosa. Scrittori e massa. Saggio sulla letteratura italiana postmoderna – collocato in appendice alla nuova edizione di Scrittori e popolo – si propone infatti di ‘aggiornare’ l’interpretazione radicale fornita mezzo secolo fa, puntando proprio sulla centralità che, nell’immaginario e nella realtà sociale italiana dell’ultimo ventennio, ha conquistato la «massa» . L’ipotesi che guida il saggio è esplicitata già dal titolo, in cui ad essere accostata agli scrittori – e a sostituire il «popolo» – è la «massa». Ed è difficile non riconoscere più di qualche affinità tra questo discorso e l’immagine che emerge dalle pagine di Dello spirito libero, l’ultimo libro di Mario Tronti, un intellettuale il cui cammino si intreccia da più di sessant’anni con quello di Asor Rosa. Una delle tesi al cuore del volume di Tronti è infatti che il grande protagonista del presente sia l’«uomo-massa democratico»: una figura che agli occhi del filosofo romano coincide con il «borghese-massa» e con l’homo democraticus «sbarcato sul nostro continente insieme agli eserciti alleati, e sotto le loro bombe» . Ed è d’altronde proprio la vittoria dell’«uomo-massa democratico» che, secondo l’autore di Operai e capitale, avrebbe sancito, oltre alla sconfitta storica del movimento operaio, il tramonto della politica, la chiusura dell’orizzonte del pensabile, la nascita di una sorta di «totalitarismo democratico» . Anche per Asor Rosa la protagonista è la «massa». Ma in questa sagoma – tanto evocativa quanto in fondo indefinita nei suoi contorni – lo storico della letteratura viene a ‘condensare’ processi in realtà ben differenti, non troppo diversamente da quanto faceva Moravia nel Conformista e da quanto, molti anni prima di lui, avevano fatto i primi osservatori della «massa» urbana.


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