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mercoledì 16 settembre 2015

La politica tra brand, franchising e storytelling. “La democrazia senza partiti”. Il 17 settembre in libreria


di Velania La Mendola
 
«Non stupiamoci, i partiti nella storia occidentale hanno sempre avuto una pessima fama. Solo nel dopoguerra il partito è stato percepito come qualcosa di positivo». È lo sguardo realistico e disincantato dello studioso quello che Damiano Palano tiene di fronte a una materia sempre incandescente come quella della politica nella veste dei partiti.
Docente di Scienza politica e Storia del pensiero politico all’Università Cattolica, in questi giorni Palano ha dato alle stampe per Vita e Pensiero il suo ultimo volume, La democrazia senza partiti. Un libro in cui ci invita a non stupirci di fronte a quello che succede alle formazioni politiche, associate da molti a parole negative.

«La loro fama negativa è atavica, legata al portare disordini, alle guerre e ai conflitti - afferma -. Ma la retorica antipolitica tende a semplificare la realtà, anche se questo non impedisce di notare che una degenerazione c’è e tocca tutto il mondo occidentale perché il distacco dai partiti riguarda tutte le democrazie occidentali».
Quali sono le cause di questa disaffezione? «Le possiamo trovare nei vari fenomeni culturali che hanno annullato le identità dei partiti, così come nella disillusione sui grandi leader. Certo, la corruzione percepita dipende anche dalla esposizione mediatica di alcuni scandali. La vicenda italiana degli ultimi 25 anni racconta una metamorfosi ideologica in cui la rete organizzativa si è indebolita. Non c'è più un vertice, esiste l’idea del partito in franchising in cui il centro, fortemente personalizzato, controlla la comunicazione del “marchio” a livello nazionale, mentre il personale politico locale gode di ampia autonomia e di specifiche forme di clientelismo. Il caso romano ne è una dimostrazione».
Nel libro scrive che l’ideologia non c’è più ma serve ancora, però è diventata liquida, come l’identità dei partiti. Significa che si stanno dissolvendo? «I partiti hanno cambiato struttura ma forse il cambiamento è d'identità, non più ideologico. Di fatto devono ancora convincere gli elettori ad andare a votare dimostrando che esistono differenze tra l’uno e l’altro. Se portano progetti diversi dovrebbero avere identità diverse».
E cosa fanno per differenziarsi? «Cercano di costruire un legame emotivo basato non su una passione duratura, ma su grandi eventi mediatici, sfruttando le crisi del momento e l'onda emotiva. Per questo si parla tanto di storytelling: raccontare una storia affascinante che però vale solo per un certo momento e per un certo candidato. Parlo di partito liquido per questo: non si squagliano e non si alleggeriscono, ma sono in costante mutamento. Come vuole il marketing contemporaneo non possono non farlo, ma l’identità così diventa fluida».
In questo gioca un ruolo ancora fortissimo il sistema dei media. Sposta opinioni o è solo un circuito chiuso che parla a se stesso? «Il dibattito politico in Tv probabilmente non riguarda più le grandi masse, ma in realtà funziona ancora per consolidare le opinioni comuni. È un dato di fatto, per esempio, che il dibattito sull'euro e sulla Grecia si è costruito su due-tre frame che hanno condizionato tutta la discussione. Inoltre negli ultimi quattro anni i fenomeni politici sono nati dai media. Il Movimento 5 Stelle ha beneficiato della propaganda in negativo, dell’assenza messa in evidenza; Renzi vince per la presenza comunicativa e grazie a questa ha scalato il Pd; Salvini ha ricostruito un partito con le apparizioni in Tv».
I partiti, a dispetto della loro scarsa popolarità, «sono oggi più forti e ricchi che mai, grazie al fatto che si sono trasformati in agenzie dello Stato». Cosa vuol dire? «Hanno meno iscritti e una reputazione pessima ma selezionano il personale politico, che è sempre meno radicato nella società ma sempre più dentro lo Stato. Chi faceva parte di un partito era un funzionario di partito fino agli anni ’80. Oggi essere segretario di sezione o segretario di partito vuol dire occupare una posizione amministrativa (sindaco, consigliere ecc.). Non è sparita la classe politica ma da funzionari stipendiati dai partiti oggi sono incardinati direttamente nelle istituzioni pubbliche.
In pratica, cosa succede? «Per esempio, un piccolo leader locale non combatte la propria battaglia per ascendere alle gerarchie più alte nel congresso del partito, ma si costruisce una squadra con i collaboratori che ha scelto come dipendenti dell'amministrazione locale. Un leader ha così una squadra indipendente dal partito che permette di raggiungere obiettivi di visibilità e intessere relazioni con gruppi rilevanti per costruire una carriera politica. Il tutto grazie alle risorse dello Stato».
Possiamo ipotizzare un futuro senza partiti, come sembra presupporre il titolo del suo libro? «Anche fra venti anni parleremo di partiti così come se ne parla ancora negli Stati Uniti. Etichetteremo però con quella parola qualcosa che con il partito novecentesco non c’entra più. Saranno dei comitati che selezioneranno un candidato in vista di un’elezione. Ci sarà ancora una visione che permetta di differenziare gli uni dagli altri, ma nelle modalità liquide che abbiamo visto».
Velania La Mendola

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