giovedì 25 giugno 2015

Si può ancora essere realisti? Un volume sul "realismo politico" curato da Alessandro Campi e Stefano De Luca

di Damiano Palano


Questa recensione al volume curato da Alessandro Campi e Stefano De Luca, Il realismo politico. Figure, concetti, prospettive di ricerca (Rubbettino, pp. 972, euro 28.00) è apparsa su "Avvenire" di mercoledì 24 giugno 2015.

Nel settembre 1939, proprio mentre scoppiava la guerra, Edward H. Carr pubblicava The Twenty Years’ Crisis: 1919-1939. In quel libro il futuro storico dell’Unione Sovietica non si limitava a ripercorrere le vicende del ventennio seguito al primo conflitto mondiale. La sua ambizione era infatti di fondare una scienza della politica internazionale effettivamente ‘realistica’. Quel libro diede origine alla contrapposizione tra realisti e liberali che ancora oggi domina il campo nella politologia internazionalista. Ma l’analisi ‘realistica’ della politica aveva alle spalle una storia ben più lunga, perché le prime tracce di quello sguardo possono essere ritrovate in Tucidide e nella sua storia della guerra del Peloponneso.
Uno strumento fondamentale per riflettere su questa prospettiva di analisi è ora offerto dall’imponente volume Il realismo politico. Figure, concetti, prospettive di ricerca, curato da Alessandro Campi e Stefano De Luca (Rubbettino, pp. 972, euro 28.00). Nel libro – che nasce dall’esperienza della “Rivista di Politica”, fondata nel 2010 – sono accolti più di cinquanta contributi. E tra questi soprattutto i testi introduttivi – firmati per esempio da Carlo Mongardini, Lorenzo Ornaghi, Angelo Panebianco, Pier Paolo Portinaro – sono utili per riconoscere gli elementi cruciali del realismo politico. Elementi che comprendono senza dubbio la convinzione secondo cui la storia è segnata da ‘regolarità’ che tendono a ripresentarsi ciclicamente. E che si basano su una specifica antropologia (spesso venata da un forte pessimismo), secondo la quale ogni essere umano tende invariabilmente a ricercare la sicurezza, l’onore e l’utile.
Al di là dei motivi comuni, la prospettiva realista è stata però declinata davvero in moltissime direzioni. Basti pensare al fatto che possono essere arruolati sotto le bandiere di questo magmatico filone pensatori fra loro notevolmente distanti – non solo temporalmente – come Sant’Agostino e Thomas Hobbes, Baruch Spinoza e Max Weber, Francesco Guicciardini e Carl Schmitt, Jean Bodin e Vilfredo Pareto. D’altronde il realismo non è una vera e propria corrente di pensiero, ma forse soltanto un modo di guardare alla politica, da cui possono scaturire linee d’azione molto diverse. Perché lo sguardo disincantato del realismo può tradursi nel cinismo della politica di potenza, nel fatalismo rassegnato o nell’esaltazione del ruolo creativo delle minoranze. D’altronde anche il realismo di Machiavelli – che pure esplicitò nel Principe la volontà di attenersi rigorosamente alla “verità effettuale della cosa” – era volto a un progetto di trasformazione della realtà (che paradossalmente si sarebbe rivelato del tutto irrealistico). Ma forse questo è il destino di molti cultori del realismo politico. Perché probabilmente – come notava lo stesso Carr – l’impossibilità di essere realisti davvero coerenti “è una delle più sicure e curiose lezioni della scienza politica”.

Damiano Palano

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