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sabato 6 giugno 2015
Quando il Progresso esponeva l’uomo in gabbia all’Expo. Un libro sugli "zoo umani" di Viviano Domenici
Questa recensione al volume di V. Domenici, Uomini nelle gabbie. Dagli zoo umani delle Expo al razzismo della vacanza etnica (il Saggiatore, Milano, 2015), è apparsa su «Avvenire» del 5 giugno 2015.
Walter Benjamin definì le Esposizioni universali come «luoghi di pellegrinaggio al feticcio merce». Ed effettivamente quelle esibizioni rappresentarono una «fantasmagoria» in cui un nuovo tipo umano – il consumatore – faceva il suo ingresso per essere rapito dallo spettacolo delle vetrine, delle luci, dei più avveniristici ritrovati della tecnica. Le grandi esposizioni, tra Otto e Novecento, furono però soprattutto una sorta di tempio in cui si celebrava il culto del Progresso. Anche per questo il Crystal Palace, la grande serra di vetro e ferro in cui si svolse la prima esposizione londinese nel 1851, divenne ben presto il simbolo stesso delle grandi promesse che pareva dischiudere l’avvenire, come più tardi, nel 1889, sarebbe avvenuto per la Torre Eiffel. Se spesso viene ancora oggi rievocato – con qualche nostalgia – l’entusiasmo di quegli anni, spesso si tende invece a tralasciare il volto più oscuro che l’ideologia del Progresso portava con sé. E a dimenticare per esempio che, per più di un secolo, le esposizioni dedicarono appositi spazi espositivi agli “zoo umani”. Questa pagina oscura della storia delle grandi esposizioni viene rievocata nel volume di Viviano Domenici, Uomini nelle gabbie. Dagli zoo umani delle Expo al razzismo della vacanza etnica (il Saggiatore, pp. 337), che ripercorre le tappe di una pratica aberrante. Con l’obiettivo di ‘mostrare’ il selvaggio, venivano infatti ricreati ‘villaggi indigeni’, e talvolta persino foreste fittizie, in cui i visitatori potevano osservare i ‘selvaggi’ proprio come se fossero gli animali di uno zoo. Ai ‘selvaggi’ – trasportati dai domini coloniali – spettava però molto spesso una triste sorte. Alcuni infatti non sopravvivevano al viaggio, mentre altri si ammalavano durante la permanenza nei finti villaggi.
Quelle terribili esibizioni – di cui si ebbe l’ultimo esempio nel 1958, all’Esposizione universale di Bruxelles – erano naturalmente funzionali a sancire la superiorità dell’uomo bianco, e dunque a legittimare il dominio coloniale delle potenze europee sul resto del mondo. Nonostante un simile atteggiamento sia molto lontano dalla nostra sensibilità odierna, sarebbe però ingenuo pensare che davvero si tratti di una pagina definitivamente superata. Perché, come mette in luce Domenici, la terribile tentazione di trasformare l’Altro in un ‘quasi umano’ da esibire, umiliare e deridere riaffiora costantemente. Magari sotto le spoglie del turismo etnico o degli show che, sul piccolo schermo, ripropongono esattamente la logica ripugnante dei vecchi zoo umani.
Damiano Palano
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