di Damiano Palano
Questa recensione al libro di Antonio Martelli, Le due battaglie dell’Atlantico. La guerra subacquea, 1914-1918 e 1939-45 (Il Mulino, pp. 577, euro 25.00) è apparsa su "Avvenire" di venerdì 30 maggio 2015.
Quando nel 1869 Jules Verne immaginò la sagoma del Nautilus, i primi rudimentali sommergibili avevano già fatto la loro comparsa. Il sottomarino del capitano Nemo, che in Ventimila leghe sotto i mari solcava le profondità degli oceani, era però concepito da Verne come uno strumento diretto contro la sovranità degli Stati. Nella realtà furono invece proprio gli Stati a sviluppare le nuove tecniche di navigazione, nella convinzione che la «guerra subacquea» dovesse diventare sempre più importante. Una ricca ricostruzione delle tappe che condussero i principali paesi occidentali a dotarsi di sommergibili è offerta dal recente volume dello studioso di strategia Antonio Martelli, Le due battaglie dell’Atlantico. La guerra subacquea, 1914-1918 e 1939-45 (Il Mulino, pp. 577, euro 25.00), che si concentra soprattutto sul ruolo che le diverse generazioni di U-Boot (Unterseeboot) ebbero nelle strategie di Berlino a partire dall’inizio del Novecento. Il Kaiser Guglielmo II fu in effetti profondamente influenzato dalle teorie di Alfred T. Mahan, il fondatore del filone ‘navalista’ della geopolitica, secondo cui la chiave per la conquista dell’egemonia a livello internazionale era il dominio del mare.
Per effetto di simili sollecitazioni la Germania avviò così, già sul finire dell’Ottocento, un imponente piano volto a incrementare la potenza navale, che comprendeva anche il ricorso a battelli sottomarini. Il primo divenne operativo nel 1906, con il nome di U-1, e a quel prototipo seguirono ben presto versioni sempre più perfezionate. Allo scoppio della prima guerra mondiale la flotta di sommergibili tedeschi era composta da 31 battelli e risultava numericamente la terza al mondo. Nella strategia di Berlino la guerra subacquea doveva però diventare molto più importante che per gli altri paesi. Stretta dal blocco navale britannico, la flotta del Kaiser non poteva infatti operare al di fuori della ristretta intorno alla baia tedesca. E per questo la Germania puntò sempre di più sulla guerra di corsa, ossia sul tentativo di ostacolare i commerci britannici mediante i sommergibili. I primi affondamenti si ebbero già nel settembre 1914 e proseguirono nei mesi seguenti. Un momento di svolta fu però rappresentato dall’affondamento del transatlantico britannico Lusitania, il 7 maggio 1915. La perdita dei duemila passeggeri, tra cui 128 cittadini statunitensi, produsse infatti un’impressione notevole, e in particolare fece emergere la nuova questione della liceità della guerra subacquea. Ma, soprattutto, da quel momento la Germania passò sul banco degli imputati, perché ritenuta colpevole di atti criminali da buona parte dell’opinione pubblica mondiale.
Gli U-Boote giocarono un ruolo rilevante anche nella seconda guerra mondiale, perché soprattutto nei primi due anni del conflitto provocarono perdite importanti alla flotta britannica. Anche per questo Winston Churchill, una volta superata la minaccia costituita dalla «battaglia d’Inghilterra» (l’offensiva area tedesca contro le città britanniche), indicò la priorità nella «guerra subacquea». A partire dall’estate 1941 il prezzo pagato dai sommergibili tedeschi cominciò infatti a salire sensibilmente. Nonostante i successi riportati ancora nel corso del 1942, negli ultimi due anni di guerra gli U-Boote si rivelarono inoltre sempre meno efficaci. I nuovi sistemi di rilevazione, l’utilizzo massiccio di attacchi dal cielo, le nuove bombe di profondità e la decrittazione dei codici segreti di Berlino ridussero progressivamente la minaccia rappresentata dai sommergibili tedeschi. Così, a dispetto del loro impatto devastante, gli U-Boote non consentirono mai alla Germania di superare il problema strategico principale dell’inferiorità della propria flotta. E neppure temporaneamente la «guerra subacquea» offrì davvero a Berlino una credibile possibilità di raggiungere quel dominio del mare in cui Mahan aveva indicato il fattore decisivo della politica mondiale.
Damiano Palano
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