Questa recensione al libro di Martin Wight, Fortuna e ironia in politica (Rubbettino) è apparsa su "Avvenire" del 15 marzo 2015.
Al centro dell’attenzione di Wight è soprattutto la domanda sulla possibilità di fornire una spiegazione causale dei fenomeni politici. E da questo punto di vista la posizione dello studioso britannico si colloca agli antipodi rispetto a quella che, proprio in quegli anni, viene avanzata dai politologi comportamentisti. Per Wight le vicende umane sono infatti date da un intrico di variabili, molte delle quali non sono affatto prevedibili, e per questo muove una netta critica alle differenti varianti di determinismo. Ciò non significa però che, ai suoi occhi, gli studi politici non possano scoprire alcune grandi ‘regolarità’. Ma tali regolarità consistono anche – se non esclusivamente – proprio nel ricorrente riaffiorare dell’imprevedibile, dell’incerto, del paradossale. In altre parole, come nota Chiaruzzi, “l’urgenza non è scoprire presunte leggi eternizzanti della politica”, bensì “comprendere l’ampiezza dei margini di libertà che il processo storico concede all’uomo” e “i confini della responsabilità storica dei soggetti politici”. Ed è forse per questo che le pagine di Wight non hanno perso a tanti anni distanza il loro peso. Ciò non implica naturalmente che i tentativi di prevedere gli scenari futuri della politica internazionale, anche ricorrendo a modelli matematici, siano inutili. Ma significa piuttosto che non possiamo dimenticare che la politica rimane il regno dell’incertezza. E che persino i nostri più elaborati calcoli politici rischiano sempre di essere travolti dalle bizze imprevedibili di un «destino cinico e baro».
Damiano Palano
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