di Laura Molinari
Ricordate il messaggio della discesa in campo di Silvio Berlusconi? Autoprodotto e registrato su videocassetta venne consegnato a tutte le televisioni e trasmesso il 26 gennaio del 1994? Quanta acqua sotto i ponti della comunicazione politica è passata da quei 9 minuti e 28 secondi per approdare all’istantaneo «Arrivo, arrivo!», tweet di Matteo Renzi, al Quirinale il 21 febbraio del 2014 per presentare la lista dei ministri a Giorgio Napolitano? E allora:quanta importanza ha ancora oggi la televisione nell’orientare il voto e le opinioni degli individui?
«La videocrazia, così come l’abbiamo conosciuta in Italia, è in declino», spiegaDamiano Palano, ordinario di Filosofia politica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. «Era un’anomalia legata al fatto che uno dei principali esponenti politici italiani fosse anche un magnate della comunicazione televisiva. Quella stagione è probabilmente finita. Questo però non significa che la televisione non abbia più nessun ruolo nello scenario politico: siamo ancora in una fase ibrida, con vecchi e nuovi media che convivono insieme».
I numeri segnalano però che il piccolo schermo è ancora il mezzo di comunicazione che colpisce di più gli italiani. «Le ore passate davanti alla tv dall’italiano medio non sono diminuite e i telegiornali in prime time arrivano a coprire attorno ai 19 milioni di persone su una popolazione adulta di 55 milioni. Sono dati significativi» sottolinea Antonio Nizzoli dell’Osservatorio di Pavia. «Quello che sta cambiando è che ci sono nuovi comunicatori. Matteo Renzie Matteo Salvini stanno ben riuscendo, sia nei numeri che nei risultati, ad usare il mezzo televisivo insieme alla comunicazione attraverso i social media. Tv e internet non sono due strumenti paralleli, ma creano un unico circuito di informazione».
«Il processo di rottura delle identità collettive è proceduto in maniera esponenziale» analizza Michele Mezza, giornalista e autore di Sono le news bellezza (Donzelli, 2011) «perciò l’affezione al voto si è abbassata vertiginosamente mentre emergono nuovi modelli di comunicazione politica, di cui Renzi è il principale catalizzatore: il presidente del Consiglio combina l’utilizzo di diversi linguaggi comunicativi per federare utenti e pubblici differenti».
Se dunque per un politico apparire sul piccolo schermo è indispensabile quanto interagire con i propri follower su Twitter o Facebook, come convivono l’enfasi sulla totale trasparenza nei confronti dei cittadini e, patti – pensiamo al peraltro già tramontato Nazareno – siglato senza dirette televisive o streaming e i cui termini sono rimasti fumosi?
«La segretezza e la riservatezza rientrano nella diplomazia politica – ricorda Palano – invocare la trasparenza, dunque lo streaming nella sua versione contemporanea, è funzionale invece per marcare una discontinuità con la vecchia classe politica». Sottolinea però Nizzoli: «I sostenitori dello streaming, utilizzano questo strumento in modo rapsodico: il 27 marzo 2013 è stato trasmesso online l’incontro tra Bersani e il Movimento 5 Stelle, ma lo stesso non è accaduto per le riunioni dei pentastellati in occasione dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica». Tutto si gioca sulla fiducia tra gli elettori e il loro leader politico, che deve avere la capacità accumulare consenso attorno a sé potendo contare su «l’attenzione e la curiosità dell’elettorato, figlie di valori e obiettivi condivisi che il politico rappresenta» precisa Mezza.
In alcune circostanze la comunicazione politica non passa attraverso il piccolo schermo ma partecipare ad una trasmissione televisiva è una tappa fondamentale della campagna elettorale: il caso dei 5stelle è da questo punto di vista esemplare perché l’operazione mediatica del leader che fa della (reale o presunta) democrazia della rete il suo punto di forza si è rivelata un clamoroso autogol. Ricordate Beppe Grillo nello studio di Porta a Porta in occasione delle scorse elezioni europee?
Secondo Palano, «partecipare a Porta a Porta serviva a Grillo per tranquillizzare l’elettorato, costituito da anziani e casalinghe, che percepiva il M5s come una minaccia alla democrazia e alla stabilità politica». Ma quella apparizione televisiva finì per generare conseguenze negative: da una parte l’ingresso nel salotto di Vespa venne visto come un compromesso eccessivo dagli elettori, che apprezzavano la natura anti-sistemica del Movimento e dall’altra emersero le difficoltà del comico genovese nel destreggiarsi con il dibattito tipico dei talk. «Grillo ha una comunicazione unidirezionale, da monologo, ma fatica quando si tratta di argomentare» sottolinea Nizzoli.
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