di Damiano Palano
Nel novembre 1942, dopo aver trascorso alcuni mesi negli Stati Uniti, Simone Weil sbarca a Londra ed entra in contatto con la resistenza francese. La giovane filosofa non ha abbandonato l’idea di partecipare attivamente alla lotta clandestina e cerca così di convincere i responsabili del movimento a sposare il suo “Progetto d’una formazione di infermiere di prima linea”. Simone viene però giudicata inadatta all’azione clandestina e le viene invece affidato il compito di esaminare una serie di progetti sulla nuova Costituzione francese. Costretta a combattere la propria resistenza tra le pareti di una stanza, Simone si getta dunque a capofitto in questo lavoro. E nei mesi che precedono la sua scomparsa improvvisa, nell’agosto del 1943, ha modo di esporre gli elementi di un ripensamento maturato negli anni convulsi della guerra. I materiali di quel periodo vengono ora raccolti in Una costituente per l’Europa. Scritti londinesi, un volume curato da Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito (Castelvecchi, pp. 379, euro 22.00).
E leggendo quegli appunti, certo spesso frammentari, è possibile cogliere ancora una volta la densità di una riflessione che non ha perso, a settant’anni di distanza, tutti i propri motivi d’interesse. Fra i testi che sono ospitati nel volume spiccano la Nota sulla soppressone generale dei partiti politici e la Dichiarazione degli obblighi verso l’umano. La pensatrice francese concepisce quest’ultimo scritto come una sorta di prologo a una futura costituzione, e per questo è preceduto da una Professione di fede, che, pur senza riferirsi a nessuno specifico credo religioso, prevede che chiunque sia chiamato a rivestire cariche pubbliche debba riconoscere il comune riferimento a una realtà trascendente. Perché, scrive, proprio questa realtà è l’“unico fondamento del bene”, e perché “unicamente da essa discende in questo mondo tutto il bene suscettibile di esistere, ogni bellezza, ogni verità, ogni giustizia, ogni legittimità, ogni ordine, ogni subordinazione del comportamento umano a degli obblighi”.
Ancora più gravido di suggestioni è forse il saggio La persona è sacra? In questo scritto si può trovare infatti la chiave per ricostruire l’ultima fase della sua riflessione. Quando mette in questione il carattere ‘sacro’ della persona, Simone Weil intende rimettere in discussione alcuni cardini della riflessione politica occidentale, e in particolare la visione illuministica dei diritti individuali. “In ciascun uomo vi è qualcosa di sacro”, scrive in quelle pagine. “Ma non è la sua persona. Non è neanche la persona umana. È lui, quest’uomo, molto semplicemente”. Ciò che rende ‘sacro’ ogni individuo è in altre parole solo il riferimento al bene, solo la proiezione verso il bene. “Il bene è l’unica fonte del sacro. Di sacro non vi è che il bene e quel che è relativo al bene”. È proprio alla luce di questa visione che matura la condanna dei partiti politici, di quelle «passioni collettive» che conducono a sottomettere l’individuo al collettivo e così a dimenticare ciò che rende ‘sacro’ ogni singolo individuo. Ed è per lo stesso motivo che in quegli scritti febbrili la filosofa cerca di immaginare una nuova democrazia e nuove istituzioni politiche. Istituzioni – come scrive in pagine che suonano davvero come il suo testamento intellettuale – capaci di “eliminare tutto ciò che nella vita contemporanea schiaccia le anime sotto il peso dell’ingiustizia, della menzogna e della bassezza”.
Damiano Palano
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