di Damiano Palano
Nelle prime ore del 17 gennaio
1991, quando ebbe inizio l’operazione Desert
Storm contro l’Iraq di Saddam Hussein, scoprimmo improvvisamente che la
Guerra fredda era davvero finita. Proprio allora diventò infatti evidente la
portata della supremazia degli Stati Uniti, una solitaria superpotenza che non
pareva temere le minacce di alcun rivale. Charles Krauthammer definì la nuova
fase come un “momento unipolare”. E negli anni seguenti molti si spinsero a prevedere
che quel “momento” fosse destinato a trasformarsi in una vera e propria “era”.
Procedendo in netta controtendenza, Charles Kupchan, uno dei più originali
politologi americani, iniziò invece a intravedere all’orizzonte un processo che
avrebbe scalzato gli Stati Uniti dal loro ruolo di egemone globale. Qualche
mese dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, pubblicò infatti un testo che
fin dal titolo – La fine dell’era
americana (Vita e Pensiero) – contestava radicalmente l’idea di un’era
unipolare. Sviluppando un’analisi di lungo periodo sulla graduale ascesa degli
Usa, Kupchan riteneva che la stagione dell’egemonia di Washington fosse vicina
alla conclusione. A ciò spingevano modificazioni interne alla società
americana, ma soprattutto l’emergere di altre grandi potenze, che avrebbero
dato forma a un nuovo multipolarismo. Non tutte le ipotesi formulate allora
sono state confermate dagli eventi successivi. Ed è sufficiente ricordare che
Kupchan prevedeva allora che l’Unione Europea sarebbe diventata la principale
rivale degli Usa. Ciò nonostante, a dieci anni di distanza la maggior parte
delle idee del politologo – che allora parevano poco più che provocazioni
intellettuali – sono diventate luoghi comuni. Non tanto perché gli Stati Uniti
siano condannati a un declino irreversibile, quanto perché è ormai quasi
scontato riconoscere che l’ascesa della Cina e di potenze regionali come il
Brasile, l’India, il Sudafrica e la ‘vecchia’ Russia renderà effettivamente
multipolare il sistema internazionale.
Con il nuovo libro, Nessuno controlla il mondo. L’Occidente e l’ascesa del resto del mondo. La prossima svolta globale (il Saggiatore, pp. 285, euro 19.50), Kupchan torna nuovamente sulle sue previsioni e cerca di intravedere quali saranno le incognite principali del futuro. Anche in questo caso le sue tesi sono radicali. In primo luogo, sostiene che il prossimo non sarà un ‘secolo cinese’ e che dunque Pechino non assumerà il ruolo avuto da Washington nel Novecento. In secondo luogo, contesta anche l’idea che possa prendere forma una sorta di ‘Chimerica’, e cioè che Cina e Stati Uniti possano collaborare nella gestione della politica mondiale in una sorta di G-2 permanente. La convinzione di Kupchan è invece che nei prossimi decenni il mondo non apparterrà a nessuno. Il mondo del futuro sarà cioè multipolare e politicamente plurale. Ci sarà un numero piuttosto elevato di grandi potenze. E ciascuna di esse si farà portatrice di una propria concezione della modernità, oltre che di una visione specifica di cosa sia un ordine internazionale ‘giusto’ e ‘legittimo’. In sostanza, le nuove potenze emergenti cercheranno di ridefinire le regole del sistema internazionale, conformandole sulla base dei loro valori e interessi. Un nuovo ordine potrà così fondarsi su organizzazioni sovranazionali regionali, capaci di assumere maggiori responsabilità nelle proprie aree di riferimento. Ma implicherà soprattutto una ridefinizione degli standard che stabiliscono la legittimità e la rispettabilità internazionale di uno Stato. E anche in quest’ultimo caso Kupchan procede in controtendenza rispetto alle tesi dell’“era unipolare”, perché ritiene che l’Occidente debba accantonare la prospettiva di una piena diffusione della democrazia e sostituirla con l’aspirazione a una “governance responsabile”. In altre parole, uno Stato dovrebbe essere considerato come un degno attore internazionale, a prescindere dalla forma di regime politico che adotta, se si impegna a promuovere il benessere e la dignità dei propri cittadini. D’altronde, secondo il politologo il nuovo mondo ‘post-occidentale’ impone una sfida soprattutto culturale. La supremazia economica, scientifica e tecnologica che consentì l’affermazione dell’Occidente sul pianeta è ormai solo un ricordo. Questo significa innanzitutto che dobbiamo modificare il nostro modo di guardare la politica globale. Ma significa soprattutto che dobbiamo rinunciare a pensare che la Storia sia irrimediabilmente finita nel novembre del 1989 e che la democrazia liberale sia davvero il punto di arrivo dell’evoluzione ideologica del genere umano.
Damiano Palano