di Damiano Palano
Quando l’editore italiano di Eric J. Hobsbawm decise
di pubblicare la traduzione di Age of
Extremes con il titolo più accattivante Il
secolo breve, probabilmente non sospettava neppure lontanamente il successo
che la formula avrebbe riscosso. Con la forza di uno slogan azzeccato,
quell’espressione è infatti entrata stabilmente nel lessico giornalistico, e da
allora, senza più legami sostanziali con il testo dello storico britannico, è
diventato abituale pensare al Novecento come a quel «secolo breve» aperto dalla
Prima Guerra Mondiale e chiuso dal crollo dell’Unione Sovietica. A ben
guardare, quei settantacinque anni possono essere però collocati in un ciclo
più lungo, ed è proprio una lettura di questo tipo a tenere insieme i saggi
raccolti (e rielaborati) da Rocco Pezzimenti in Il pensiero politico del XX secolo. La fine dell’eurocentrismo
(Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013, pp. 775, euro 34.00). Naturalmente il
discorso di Pezzimenti non si riferisce tanto alle tappe della storia mondiale,
quanto alle traiettorie del pensiero politico del Novecento, un secolo che appare
tutt’altro che «breve», perché in realtà «s’incardina nei temi cruciali, e non
ancora del tutto esauriti dell’Ottocento, e che si protende nel nostro con la
sua ricerca di stabilizzazione e di pace in vista di un nuovo ordine mondiale»
(p. 8).
Non è dunque casuale che la
ricostruzione di Pezzimenti incominci con la famosa Introduzione engelsiana del 1895 al vecchio opuscolo di Marx sulle Lotte di classe in Francia dal 1848-1850. Proprio
in quel testo, Engels – che in realtà si limitava a mettere in questione la
«tattica» fino a quel momento seguita dal movimento socialista, ma non certo le
capacità di previsione storica del socialismo scientifico e dunque la
prospettiva generale del crollo del capitalismo – in qualche modo apriva la
prima grande crisi teorica del marxismo, all’interno della quale sarebbero
emerse le diverse opzioni ‘revisioniste’, oltre che la prospettiva di Lenin,
destinata a diventare il cardine di una nuova ortodossia dopo l’Ottobre
sovietico. E proprio il pensiero e l’eredità politica di Lenin, che già segnano
la fuoriuscita del marxismo dal cuore della Vecchia Europa, sono al centro di
un lungo saggio, in cui Pezzimenti non manca di segnalare, insieme agli
elementi di originalità, l’influenza della tradizione religiosa che
contrassegna la prospettiva escatologica dei rivoluzionari russi: «C’è tra
tutti gli intellettuali russi», scrive infatti Pezzimenti, «la convinzione che
una nuova età stia per realizzarsi e che la loro terra sia una sorta di
messianica terra promessa dalla quale partirà il rinnovamento per il mondo
intero, la rivoluzione che rigenererà l’umanità tutta» (p. 41). Il tramonto del
«mondo di ieri» e l’avvento della «mobilitazione totale», attorno al tragico
snodo della Prima guerra mondiale, portano comunque alla luce anche nella
riflessione europea una serie di nodi che risalgono al secolo precedente, e che
attengono principalmente alle strategie di integrazione delle masse nella vita
dello Stato e dunque alla ridefinizione dei meccanismi della rappresentanza
politica dopo la formazione dei grandi partiti popolari. Pezzimenti
ricostruisce così le trame del fitto dibattito sulla crisi del parlamentarismo
e sulle ambizioni della democrazia plebiscitaria, oltre che sulle basi dei
nuovi regimi autoritari e totalitari. Ma, nella sua analisi, non possono
naturalmente mancare né gli Stati Uniti, la nuova grande potenza che irrompe
sulla scena della politica mondiale nel 1917 proponendo un nuovo modo di vita e
un nuovo concetto di democrazia, né la Repubblica Popolare Cinese, segnata
ancora dalla personalità di Mao, dalle sue tante mitizzazioni e demitizzazioni.
E, dopo un esame delle trasformazioni del liberalismo e del marxismo e una
ricca riflessione sulla dottrina sociale della Chiesa (che peraltro si
intreccia con la ricostruzione dei fermenti che in America Latina diedero forma
alla teologia della liberazione), è quasi inevitabile che il percorso si
concluda con il pensiero politico islamico, non certo ridotto alla declinazione
islamista, ma invece considerato nelle diverse espressioni che ha conosciuto
nel corso del Novecento.
Esaminato con uno sguardo di
lungo periodo, il Novecento non appare allora tanto breve come vuole la formula
di Hobsbawm. Ma, soprattutto, è davvero un secolo da cui emerge, come grande
tendenza, il declino politico dell’Europa. Un declino avviato in modo
emblematico nel 1917 dalla rivoluzione bolscevica e dall’ingresso degli Stati
Uniti nella Grande guerra, e di cui il processo di integrazione europea non è
riuscito per ora invertire la marcia, forse non solo per una debolezza
politica, ma anche – come osserva Pezzimenti nelle pagine introduttive, non
senza qualche nota di esplicito pessimismo – per l’assenza di un pensiero
davvero adeguato ai tempi: «Per la prima volta l’Europa comincia una guerra che
non ha la capacità di finire con le proprie forze aprendo quel declino da cui non
riesce ancora a uscire avendo, tra l’altro, dimenticato la lezione di alcuni
grandi leader del secondo dopoguerra. Costoro ben compresero che, per
riacquistare un ruolo di primo piano, l’unione monetaria era condizione importante
ma non unica. Lo prova il fatto che intrapresero anche la via di una energia e
di una difesa comune, lasciando presagire anche una politica estera comune.
Rimasero inascoltati e persino dimenticati» (p. 9).
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