Questa recensione è apparsa su "Avvenire" del 15 giugno 2013.
Nel suo recente Tu sei il mio nemico. Per una filosofia dell’inimicizia (Vita e Pensiero, pp. 187, euro 20.00, prefazione di Adriano Pessina), Alessandra Papa indaga proprio la figura del nemico, calandosi nelle tenebre più oscure della violenza politica e della guerra. E anche Papa giunge a individuare un’ambivalenza, cui alludono i versi di William Blake posti a epigrafe del volume: “Ti prego, sii mio nemico, in nome dell’amicizia”. In sostanza, il nemico – in quanto minaccia, in quanto avversario – può diventare elemento prezioso di definizione della nostra identità. Con un percorso che si snoda fra Eschilo, Omero e le tragedie del Novecento, Papa ricerca però soprattutto le tracce di un ethos dell’inimicizia. Perché la convinzione della studiosa è che persino nelle più brutali manifestazioni del conflitto sia possibile ravvisare un fondamento etico: un fondamento che non impedisce lo scontro violento, ma che presuppone comunque il reciproco riconoscimento da parte dei nemici di una comune appartenenza al genere umano. In altre parole, persino dinanzi al nemico “non possiamo mai perdere la nostra memoria ontologica: dimenticare cioè il fatto che, anche nelle relazioni difficili, restiamo di fronte a un uomo, uomini noi stessi”.
Naturalmente le guerre del Ventesimo secolo sono molto diverse da quelle cantate da Omero, ed è proprio da questa prospettiva che Papa considera il rischio che la violenza trascenda ogni ethos. E soprattutto che il nemico diventi un “nemico assoluto” (come avviene secondo Papa nella riflessione di Carl Schmitt). Ripercorrendo la traiettoria indicata da Hannah Arendt, il punto estremo di assolutizzazione del nemico deve essere infatti riconosciuto nella costruzione del “nemico oggettivo”: un nemico che è considerato una minaccia non per la propria condotta ‘soggettiva’ o per le sue idee, ma per le sue caratteristiche ‘oggettive’. È in questo senso che la “tanathopolitica” del totalitarismo può fondere tra loro le figure del nemico e del malato, e ritrovare così la minaccia politica nel ‘malato’, in ciò che ‘infetta’ il corpo sano del popolo. All’interno di una simile logica, il nemico viene allora spersonalizzato, spogliato della sua ‘maschera’ sociale e al tempo stesso privato della sua natura di ‘persona’. Rimane così soltanto “nuda vita”. Una vita che coincide con una condizione sub-umana, e cui è negata persino l’identità.
Al termine del suo percorso, Papa riconosce allora il vero problema nel rischio che l’inimicizia degeneri in violenza totalitaria, “creando segreti, nemici totali, corpi ostili, minacciando le generazioni future”. Ma – si potrebbe aggiungere – non è solo il totalitarismo a ricercare costantemente nuovi nemici, e a spingere a costruire nemici fittizi. Perché è per molti versi la stessa logica della politica, con le sue più misteriose e sinistre ‘regolarità’, a replicare costantemente la contrapposizione fra amicus e hostis. E a riproporre tragicamente nuove (e sempre più subdole) strategie di disumanizzazione del nemico.
Damiano Palano
Un testo che tocca un tema assai attuale, soprattutto in questa modernità così indecifrabile. Lo leggerò presto.
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