di Damiano
Palano
La discussione della legge è stata
accompagnata da qualche polemica, anche perché alcuni osservatori hanno paventato
il rischio che la doppia preferenza possa essere piegata a finalità improprie
(tra cui soprattutto il controllo clientelare del voto). Al di là di tali perplessità, è ora
possibile valutare quali effetti ha avuto la nuova legge sulla composizione dei
consigli, quantomeno nei sedici comuni capoluogo coinvolti dalla consultazione
amministrativa. Da questo punto di vista, i risultati sembrano piuttosto positivi,
e appare così sostanzialmente confermata la tendenza già registrata nelle
elezioni regionali campane del 2010. La Regione Campania ha in effetti già
adottato da alcuni anni una normativa molto simile a quella poi entrata in vigore
a livello nazionale, con esiti rilevanti: in seguito all’introduzione della
nuova legge, nel 2010 il numero delle donne elette nel Consiglio regionale
risultò infatti pari a 14, mentre nel 2005 era stato solo di 2 (altre 5 donne
erano state però elette nel cosiddetto ‘listino’ del presidente). Inoltre, secondo
una stima realizzata dall’Istituto Cattaneo, in quell’occasione circa un
elettore su sei optò per la “doppia preferenza”. E proprio tali tendenze sembrano
essere confermate dal risultato delle amministrative di maggio.
È piuttosto complesso valutare quanti
elettori abbiano effettivamente scelto di utilizzare lo strumento della “doppia
preferenza”. Ciò nondimeno, è agevole riconoscere che nei sedici comuni
capoluogo coinvolti dalle ultime elezioni il numero di donne elette è
sensibilmente cresciuto, in termini assoluti e relativi. Secondo un rapporto
realizzato dal Centro Italiano di Studi Elettorali, la quota di consiglieri
donna è passato infatti dall’11,2% delle precedenti amministrative al 27,9% del
2013. E tale incremento accomuna peraltro tutte le aree del paese, sebbene
appaia leggermente più consistente nei comuni del Nord (30,2%), che in quelli del
Centro-Sud (28,8%) e della cosiddetta ‘zona rossa’ (26,6%). Dal punto di vista
della collocazione politica, l’aumento della quota di rappresentanti donne coinvolge
inoltre tutte le forze politiche, anche se in modo non omogeneo. La presenza
femminile appare particolarmente elevata fra gli eletti del Movimento 5 Stelle,
arrivando al 38,5% del totale (10 su 16 consiglieri eletti), e all’interno del
centro-sinistra, dove raggiunge il 30,4% (pari a 322 consigliere). Nonostante
la performance negativa abbia determinato il dimezzamento dei consiglieri del
centro-destra, le donne sono comunque notevolmente aumentate in termini
relativi anche in quest’area (passando dall’8,8% al 22,5%).
In sede di bilancio, è opportuno evitare
conclusioni affrettate sugli effetti della “doppia preferenza”. I dati a
disposizione sono ancora piuttosto limitati, e sarebbe inoltre improprio generalizzare
la portata di risultati che rimangono sempre influenzati dal contesto locale.
Inoltre, è bene tenere presente che non è possibile distinguere chiaramente gli
effetti prodotti dalla “doppia preferenza” da quelli innescati dalla norma che
stabilisce che uno dei sessi non possa essere rappresentato per più di due
terzi in ciascuna lista. A dispetto di tutti questi motivi di cautela, è però
possibile affermare che il combinato disposto delle misure previste dalla legge
215/2012 ha avuto un impatto significativo, quantomeno perché ha indotto i
partiti a modificare la loro offerta politica. Se il bilancio sull’efficacia
della “doppia preferenza” rimane dunque ancora provvisorio, il quadro delle
amministrative 2013 non può però che risultare ancora in chiaroscuro per quanto
concerne il riequilibrio della rappresentanza. Nonostante la percentuale di
donne nei consigli comunali sia aumentata, è infatti difficile non segnalare come
Valeria Mancinelli, eletta ad Ancona nella coalizione di centro-sinistra, sia
l’unica donna fra i sedici nuovi sindaci dei comuni capoluogo. E tale
sproporzione risulterebbe probabilmente confermata anche se si andasse a
considerare la proporzione di donne fra i candidati alla poltrona di sindaco
proposti dalle diverse liste. In altre parole, ciò significa che la
discriminazione di genere continua a essere estremamente radicata nella classe
politica italiana, soprattutto per quanto riguarda i meccanismi di selezione
della leadership. Certo non si tratta di vincoli che possano essere scardinati
solo con interventi legislativi. Ma anche dalla loro rimozione dipendono le
sorti del rinnovamento dei partiti e la qualità della nostra vita politica.
Damiano Palano