Di Damiano Palano
Questa recensione del volume di Daron Acemoglu e James A. Robinson, Perché le nazioni falliscono (il Saggiatore, pp. 527, euro 22.00) è apparsa su "Avvenire" del 27 aprile 2013.
Alla fine degli anni Cinquanta, nel clima segnato dall’euforia della ricostruzione postbellica, molti politologi iniziarono a pensare che la democrazia fosse una conseguenza dello sviluppo economico. La correlazione non era certo intesa in modo deterministico. Ma, in ogni caso, il benessere economico sembrava dovesse innescare – in modo più o meno spontaneo – la democratizzazione. Nel corso dell’ultimo mezzo secolo questa convinzione è stata invece sensibilmente rivista. Molti studiosi hanno dimostrato che le cose sono quantomeno più complicate, e che un ruolo rilevante viene giocato spesso dalle istituzioni ereditate dal passato. Uno dei contributi più influenti in questa riscoperta della storia proviene sicuramente da Perché le nazioni falliscono, un libro di Daron Acemoglu e James A. Robinson diventato rapidamente una sorta di classico e finalmente disponibile anche per il lettore italiano. Benché i due studiosi – il primo economista al Mit di Boston, il secondo politologo ad Harvard – siano consapevoli della complessità dei fenomeni storici, la tesi che propongono è molto semplice. In sostanza, non pensano che i motivi della ricchezza o della povertà di un paese vadano ritrovati principalmente nella cultura o nella geografia. Ritengono infatti che la spiegazione debba essere ricercata nella natura delle istituzioni che un paese si è dato nel corso della propria storia. Più precisamente, Acemoglu e Robinson distinguono fra istituzioni “estrattive” e “inclusive”. Di solito, le istituzioni estrattive servono a ristrette élite per accaparrarsi il reddito e le ricchezze prodotte nel paese. Al contrario, le istituzioni “inclusive” sono quelle che consentono ad ampie fasce di popolazione di accedere alla ricchezza o al potere. Sotto il profilo economico, incoraggiano per esempio gli individui a prendere parte alle attività produttive, mettendo a frutto le loro abilità. Mentre, sotto il profilo politico, danno la possibilità di partecipare a una quota relativamente estesa di cittadini.
Il punto principale del ragionamento di Acemoglu e Robinson è che le istituzioni politiche estrattive costituiscono un vincolo per lo sviluppo economico. In altre parole, anche sistemi politici estrattivi possono favorire la crescita e così creare istituzioni economiche inclusive. Ma, a un certo punto, le élite al potere vedono minacciato il loro monopolio dal mutamento nella geografia del potere economico-sociale. E, dunque, si spostano sempre più verso istituzioni estrattive. Al contrario, fra istituzioni inclusive si crea una sorta di circolo virtuoso. Un sistema politico pluralista rende più difficile che una singola forza si impadronisca del potere e imponga una logica estrattiva. Mentre, a loro volta, istituzioni economiche inclusive favoriscono una ripartizione più equa delle risorse, e in questo modo consolidano il pluralismo.
Naturalmente le argomentazioni di Acemoglu e Robinson non sono sempre del tutto convincenti. Per esempio, i due studiosi tendono a dimenticare quasi completamente il ruolo giocato dalla dimensione internazionale, dalle tecnologie militari e, più in generale, dal contesto geopolitico in cui maturano l’ascesa e il declino delle grandi potenze. Ciò nonostante, Perché le nazioni falliscono rimane un contributo fondamentale per spiegare la matassa intricata dei rapporti fra politica ed economia. Quantomeno perché invita a diffidare delle ambizioni dell’“ingegneria istituzionale” e di tutte quelle ‘ricette’ politiche ed economiche che non riconoscono il peso della storia e delle istituzioni. E che dimenticano che spesso sono “piccole differenze” a rivelarsi determinanti nel rispondere alle situazioni critiche.
Il discorso di Acemoglu e Robinson ha certo più di qualche rilevanza anche per l’immediato futuro. Secondo i due studiosi la crescita economica cinese è per esempio destinata ad arrestarsi. Il Partito comunista cinese a un certo punto si troverà infatti insidiato dalle conseguenze del mutamento che ha promosso. E, dunque, tenterà di bloccare lo sviluppo, tornando a una logica estrattiva. Ma le tesi dei due ricercatori hanno forse qualche implicazione anche per un Occidente alle prese con le conseguenze della crisi economica. Se non altro perché ci conferma che le istituzioni economiche inclusive funzionano solo se sono sorrette da una solida “poliarchia”, da una pluralità di poteri diffusi nella società. E perché ci suggerisce che il vero segreto dello sviluppo economico si nasconde proprio in un effettivo pluralismo sociale.
Damiano Palano
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