di Damiano Palano
Questa recensione del volume di G. John Ikenberry, Leviatano liberale. Le origini, le crisi e la trasformazione dell’ordine mondiale americano (Utet, pp. 430, euro 24.00), è apparsa su "Avvenire" del 20 aprile 2013.
Anche se gli Stati Uniti non entrarono mai nella Società delle Nazioni, creata dopo la grande tragedia della prima guerra mondiale, il presidente americano Woodrow Wilson fu senza dubbio uno dei principali ispiratori di un nuovo ordine internazionale liberale. “Ciò che cerchiamo”, affermò per esempio nel 1918, “è il regno della legge, basato sul consenso dei governanti e sostenuto dall’opinione organizzata dell’umanità”. Wilson pensava in effetti a un ordine in cui tutti gli Stati avrebbero agito insieme per garantire la pace e la sicurezza, e in cui si sarebbero affermati il principio di autodeterminazione nazionale, la libertà degli scambi, lo sviluppo del diritto internazionale. La storia andò però in una direzione da quella che auspicava. Wilson fu sconfitto alle elezioni e gli Usa si ritrassero in una posizione isolazionista. Le basi della pace si rivelarono anche per questo estremamente fragili e il mondo precipitò rapidamente nella spirale di nuovi antagonismi. Dinanzi al fallimento della Società delle Nazioni, il disegno di Wilson venne allora accusato di essere solo una seducente utopia, il progetto di un ‘idealista’ incapace di cogliere come la politica internazionale fosse il regno della forza e delle armi. Ma, a dispetto di tutti i suoi limiti, l’aspirazione a un ordine internazionale liberale non fu del tutto abbandonata. E, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la visione wilsoniana – corretta da una robusta iniezione di realismo e arricchita dall’esperienza del New Deal di Roosevelt – incominciò effettivamente a tradursi in realtà.
Oggi molti osservatori ritengono che quella stagione sia giunta termine, e che, insieme all’“era americana”, debba tramontare anche l’ordine internazionale sostenuto da Washington. Non è questa invece l’opinione di G. John Ikenberry, tra i principali studiosi contemporanei di relazioni internazionali, ed esponente di quella visione istituzionalista e liberale che tanto deve al pensiero di Wilson. Nel suo ultimo libro, Leviatano liberale. Le origini, le crisi e la trasformazione dell’ordine mondiale americano, Ikenberry non nega certo che siano in atto mutamenti radicali. Ma ritiene che tali mutamenti non preludano a una vera e propria crisi. Si tratta piuttosto, a suo avviso, solo di una crisi all’interno dell’ordine: una crisi sulle modalità di esercizio della governance, che non mette in discussione i principi su cui si regge l’ordine internazionale liberale. In altre parole, secondo Ikenberry, l’assetto forgiato dagli Usa è vittima del proprio successo. È riuscito a sconfiggere l’antagonista sovietico e a garantire la crescita economica. E proprio risultati tanto positivi hanno fatto emergere nuovi centri di potere, come Cina e India. Ciò non comporta però che vengano effettivamente contestati i cardini dell’ordine esistente. Un po’ come il Leviatano di Hobbes, gli Stati Uniti hanno ottenuto dai paesi occidentali le redini del potere con il preciso mandato di preservare la sicurezza. Ma l’odierno mutamento geopolitico mette in discussione il ruolo del Leviatano e soprattutto la sua finora indiscussa autorità. Da un lato, le nuove potenze emergenti tendono a percepire la centralità di Washington come un privilegio. Dall’altro, gli Stati Uniti tendono a sottrarsi ai vincoli e a imboccare la via dell’unilateralismo. Le sfide del XXI secolo, secondo Ikenberry, richiedono invece che l’ordine internazionale liberale venga rifondato da un nuovo patto, più esteso del precedente. E che l’autorità venga condivisa da un’ampia coalizione di Stati, tra cui naturalmente anche la Cina. Così non emergerà necessariamente un conflitto tra Washington e Pechino. Ma, più probabilmente, gli Stati Uniti riusciranno a ‘inglobare’ la Cina nell’ordine liberale esistente.
Una simile previsione può risultare forse ottimistica, anche perché tende a sottovalutare la fragilità economica del Leviatano a stelle e strisce. Ciò nonostante Ikenberry coglie un punto fondamentale, che molti osservatori ‘realisti’ tendono a sottovalutare. E cioè il fatto che le grandi minacce del XXI non provengono da singoli Stati, ma da processi globali. Processi come il mutamento climatico, la proliferazione nucleare, la sicurezza energetica, le pandemie e il terrorismo, dinanzi ai quali persino l’enorme potenziale americano si rivela insufficiente. E cui, effettivamente, solo una cooperazione fra le grandi potenze può fornire risposte adeguate.
Damiano Palano
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