di Damiano Palano
Questa segnalazione del volume di Alberto Vannucci, Atlante della corruzione, Edizioni Gruppo Abele, pp. 285, euro 18.00, è apparsa su "Avvenire" del 9 febbraio 2013.
Nel XXI canto dell’Inferno, Dante si affaccia sulla bolgia in cui si trovano i pubblici magistrati corrotti, colpevoli di avere approfittato della loro carica per arricchirsi. E, dato che «amministrarono nascostamente», Dante immagina che siano destinati a scontare la loro pena in una bolgia «mirabilmente oscura», sommersi dalla pece bollente. Dopo sette secoli la piaga della corruzione non è certo meno dolorosa di quanto fosse ai tempi delle repubbliche cittadine, e il risentimento verso una classe politica percepita come profondamente corrotta costituisce anzi uno dei segnali più evidenti del “disagio” delle nostre democrazie. Un’ulteriore conferma viene in questo senso dall’Atlante della corruzione, in cui Alberto Vannucci, politologo dell’Università di Pisa, traccia un quadro complessivo della diffusione del fenomeno, e in cui cerca soprattutto di comprendere quali siano i motivi che rendono tanto difficile sradicare questa malapianta. Vannucci chiarisce innanzitutto cosa si debba intendere per “corruzione”: uno “scambio occulto” con cui un corruttore e un agente pubblico si spartiscono risorse derivanti dal tradimento del rapporto fiduciario con la collettività. Ricostruendo una mappa del processo, il politologo cerca inoltre di capire chi siano i protagonisti, come prenda concretamente forma lo scambio e perché i comportamenti illeciti siano così difficili da sradicare. E, sotto quest’ultimo profilo, individua quattro condizioni che facilitano la corruzione: la presenza di posizioni monopolistiche di rendita, l’attribuzione di poteri discrezionali a politici e funzionari, un basso grado di trasparenza del percorso decisionale, uno scarso livello di rendicontazione nell’operato degli agenti pubblici.
Naturalmente Vannucci non dimentica di considerare quale sia il costo della corruzione. Un costo che è innanzitutto economico, relativo alla lievitazione del prezzo dei beni e dei servizi forniti, oltre che alla riduzione del loro livello qualitativo. Ma un costo che è soprattutto etico. Da un esame comparato emerge infatti un fortissimo legame tra alti livelli di corruzione percepita, bassa ricchezza pro capite e marcate disuguaglianze economiche Ciò significa che, quando si indeboliscono i principi dello Stato di diritto, a pagare il prezzo più elevato sono le fasce più deboli della popolazione, ossia quei soggetti che hanno scarse disponibilità economiche e che sono esclusi dalle sfere del potere. E testimonia una volta di più come la percezione di una corruzione diffusa modifichi in profondità le relazioni sociali. Non solo perché finisce col corrodere la fiducia alla base della democrazia, ma forse soprattutto perché indebolisce la fiducia nel prossimo, nei funzionari pubblici, nell’imparzialità dello Stato.
Damiano Palano
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