sabato 9 marzo 2013

Simone Weil: il "manifesto" contro i partiti politici in una nuova edizione a cura di Marco Dotti e commentata da Marco Revelli e Andrea Simoncini

di Damiano Palano

Questa segnalazione è apparsa su "Avvenire" dell'8 marzo 2013

Nel 1950 sulla rivista francese «La Table Ronde» apparve uno scritto inedito di Simone Weil. Si trattava di un saggio breve, ma il cui contenuto esplosivo emergeva fin dal titolo: Note sur la suppression générale des parties politique. Quando usciva quel frammento, l’autrice era ormai scomparsa da tempo, perché la tubercolosi l’aveva stroncata, a soli trentaquattro anni, nel 1943. Al termine della sua breve e tormentata esistenza, Weil aveva però avuto modo di assistere al drammatico crollo della Terza Repubblica francese. Un crollo che sancì, per Weil, una radicale disillusione politica, di cui il manifesto sulla soppressione dei partiti politici – ora ripubblicato insieme ad altri saggi della filosofa in Senza partito. Obbligo e diritto per una nuova pratica politica (Vita – Feltrinelli, euro 8.00) – rimane per molti versi il frutto più sofferto. Secondo Weil il peccato originale dei partiti è il loro congenito “totalitarismo”: un tratto che incomincia ad affiorare già con i club giacobini, ma che è presente anche in tutte le formazioni partitiche successive, almeno nell’Europa continentale. Agli occhi di Weil, i partiti sono infatti macchine che fabbricano “passioni collettive”, macchine cioè che spingono gli individui a sposare acriticamente una visione di parte, e a rinunciare così alla ricerca della verità e del bene pubblico. Ma, soprattutto, i partiti hanno come fine primario la crescita del loro potere. E proprio in questa vocazione si nasconde un’insidia fatale. Perché qui si realizza il fatale rovesciamento fra mezzi e fini, in virtù del quale il partito diventa un fine in sé, e non solo uno strumento. 
Weil lascia davvero pochi margini di speranza a una possibile ‘riforma’ dei partiti. Tanto che scrive addirittura che la loro soppressione costituirebbe “un bene quasi allo stato puro”. Ed è probabilmente per i termini di una condanna così netta che le pagine di Weil si rivelano oggi così attuali. La critica ai partiti e alle conseguenze nefaste dello ‘spirito di parte’ non sono certo una novità, e anzi segnano – quasi senza eccezioni – l’intera vicenda occidentale, dall’Atene di Pericle fino alle polemiche contro la “partitocrazia”. Ma, dinanzi alla crisi (o alla trasformazione) dei partiti contemporanei, il discorso acquista inevitabilmente un nuovo significato, puntualmente segnalato da Marco Revelli e Andrea Simoncini, nei due interventi che accompagnano la requisitoria di Weil. Per Revelli, il manifesto della filosofa non deve essere però interpretato come un appello allo Stato perché “sopprima” i partiti. In realtà, si tratta di una sollecitazione a superare la vocazione totalitaria delle macchine partitiche novecentesche. Le pagine di Weil possono essere lette infatti come “un invito alle persone perché superino dentro di sé, in foro interiore, il proprio spirito di partito”, e affinché “si dedichino alla faticosa ricerca – collettivamente individuale – di ciò che può salvare la civitas hominis”. Forse è anche da questo rovesciamento che discende la possibilità di ripensare i partiti ‘oltre’ il Novecento, senza cadere nella retorica antipolitica. Come scrive d’altronde Simoncini, la via per sfuggire alla ‘morte dei partiti’ – e alla conseguenza della ‘morte della democrazia’ – non sta nell’“antipolitica”. In altre parole, la risposta ai problemi (difficilmente negabili) dei partiti contemporanei non può limitarsi semplicemente all’evocazione romantica di qualcosa che vada ‘contro’ la politica. Ma deve passare invece, molto probabilmente, dalla scoperta (o dalla riscoperta) di “quello che la precede e la eccede”.

Damiano Palano

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