di Damiano Palano
Questa recensione è apparsa, con il titolo Obama, impara dagli indiani!, su "Avvenire" di sabato 8 dicembre 2012.
Il cinema western ha sempre rappresentato i ‘pellerossa’ come bellicosi e sanguinari. In effetti le tribù dei nativi americani furono spesso impegnate in lotte estremamente violente. Ma si rivelarono anche capaci di costruire le basi di una pace duratura. Attorno al 1450, un guerriero chiamato Hiawatha riuscì infatti a convincere le cinque nazioni irochesi – le tribù che popolavano la zona settentrionale dell’attuale Stato di New York – a porre fine a una lunga sequela di stermini e vendette. Le tribù giunsero così a una pacificazione, ma soprattutto decisero di formare una Confederazione unitaria, che prevedeva anche procedure per risolvere le controversie, per gestire una politica estera comune e per regolamentare l’ingresso di nuove gruppi. E proprio questi meccanismi riuscirono a garantire la pace tra le cinque nazioni per più di tre secoli. Finché, nel 1777, la guerra d’indipendenza americana spinse gli Oneida e i Tuscarora contro le altre tribù irochesi, schierate dalla parte inglese.
Per quanto la vicenda della Confederazione irochese possa apparire poco più che una curiosità storica, è anche da questo esempio che prende le mosse il ragionamento sviluppato da Charles Kucpchan nel suo recente Come trasformare i nemici. Le radici di una pace duratura (Fazi, pp. 653, euro 19.50). In effetti, le domanda che affronta il politologo americano sono le stesse che si posero gli irochesi: come si possa mettere fine all’inimicizia fra i popoli, e come si possa costruire una zona di pace stabile, all’interno della quale i singoli Stati rinunciano a ricorrere allo strumento militare per risolvere le loro controversie. E, per rispondere a questi interrogativi, Kupchan guarda a una molteplicità di unioni, più o meno formalizzate, come il Concerto europeo successivo al 1815, la Comunità Europea, o l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico.
Kupchan si rivolge alla storia con una profondità largamente sconosciuta alla gran parte dei politologi americani. E, in questo senso, i modelli cui attinge sembrano essere soprattutto gli studi di straordinari conoscitori dei sistemi internazionali del passato come Martin Wight ed Hedley Bull. Ma Come trasformare i nemici in amici non si rivolge soltanto agli accademici. Ha infatti l’obiettivo esplicito di incidere anche sulle scelte della Casa Bianca nel prossimo futuro. In qualche misura, infatti, la proposta di Kupchan diverge nettamente da due convinzioni ancora oggi piuttosto forti a Washington. In primo luogo, l’idea che la diffusione della democrazia sia una garanzia di pace (dal momento che le democrazie non si fanno la guerra). E, in secondo luogo, la tesi secondo cui l’interdipendenza economica è uno strumento fondamentale per promuovere la pace. In realtà sostiene Kupchan, le radici di una pace stabile non stanno né nella democrazia, né nell’interdipendenza economica, ma si trovano in altre tre condizioni: nella moderazione istituzionale, in ordini sociali compatibili e in una comunanza culturale. Solo se queste tre condizioni si presentano, si può effettivamente avviare la costruzione di una zona di pace stabile. E, quando questo avviene, il processo si svolge più o meno in quattro fasi. Innanzitutto, uno Stato che si vede minacciato su più fronti, decide di offrire concessioni all’avversario. A questo primo passo seguono poi la moderazione reciproca, una più profonda integrazione sociale tra gli Stati partner, e infine la genesi di nuove identità politiche comuni.
Dal punto di vista politico, l’analisi di Kupchan suggerisce agli Stati Uniti una linea ben precisa. In primo luogo, si tratta di abbandonare i grandi progetti di ‘esportazione della democrazia’ e di riscoprire la vecchia diplomazia. Ma, in secondo luogo, diventa cruciale soprattutto cercare di costruire la pace ‘a pezzi’, coinvolgendo cioè gli Stati confinanti e appartenenti a una stessa regione. Nonostante le incertezze, dopo il 2008 Barack Obama ha imboccato proprio questa strada. I prossimi anni ci diranno se il presidente insisterà ancora su questo percorso, o se cambierà la propria rotta, nel timore che una moderazione strategica possa essere considerata come una rischiosa concessione a rivali sempre più minacciosi. La convinzione di Kupchan è però che la guida migliore per affrontare le insidie del ‘mondo post-americano’ sia ancora l’idea del vecchio guerriero Hiawatha. Un’idea secondo cui costruire una pace stabile è possibile. E secondo cui i nemici di ieri possono diventare gli amici di domani.
Damiano Palano
Bel post; mi preme però sottolineare alcune cose.
RispondiEliminaSe non erro le tribù della Nazione Irochese erano sei: Mohawk, Seneca, Cayuga, Tuscarora, Onondaga e Oneida.
E vivevano in quella zona che cominciò ad essere chiamata Irochirlanda.
Vero che la guerra d'indipendenza le spaccò. Manca però, a parer mio, all'interno del post, una cosa molto importante.
Solo qualche giorno fa, Obama, all'interno del discorso d'insediamento, ha ripetuto 5 volte NOI, IL POPOLO bene, questa frase è la frase (orale) d'apertura della legge che teneva insieme la Nazione Irochese.
Franklin e gli altri padri fondatori hanno ripreso una espressione d'apertura pellerossa e l'hanno inserita all'interno della Costituzione.
Notevole, nevvero? Tra i Padri fondatori degli Stati Uniti dovrebbe esserci anche capo Canasatego, che però morì prima della guerra d'indipendenza