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domenica 30 dicembre 2012

I partiti in un vicolo cieco. Un libro di Piero Ignazi sul passato e sul presente dei partiti


di Damiano Palano


Questa recensione è apparsa su "Avvenire" del 29 dicembre 2012

Verso la fine del Trecento, Baldo degli Ubaldi scriveva che la divisione nelle città era destinata a produrre gli stessi effetti dell’ingresso dei vermi nel formaggio, perché la nascita delle fazioni doveva fatalmente condurre alla dissoluzione del corpo politico. Naturalmente, Baldo si riferiva soprattutto all’esperienza delle repubbliche cittadine italiane e al declino delle istituzioni comunali, ma la sua posizione non era affatto eccezionale. Nell’intera storia del pensiero politico occidentale, la condanna delle fazioni e dei partiti è infatti un motivo quasi invariabilmente ribadito in ogni periodo, dall’Atene di Pericle fino alla grande stagione della dottrina dello Stato ottocentesca. Qualcosa di radicalmente nuovo avviene solo sul finire del ‘700 nel parlamento britannico, quando si inizia a fare strada l’idea che i partiti siano “connessioni onorevoli”. Ma le cose cambiano soprattutto al principio del Novecento, con l’affermazione delle grandi organizzazioni di massa. Ed è in questo momento che i partiti cessano di essere percepiti come un fenomeno deteriore da biasimare, per diventare gli autentici protagonisti del secolo. Nel suo Forza senza legittimità. Il vicolo cieco dei partiti (Laterza, pp. 138, pp. 14.00), Piero Ignazi ricostruisce proprio le tappe cruciali di questa lunga vicenda storica. Ma il punto di partenza da cui muove l’analisi del politologo è lo stato di salute – tutt’altro che rassicurante – dei partiti contemporanei. La sfiducia dei cittadini nei loro confronti fa registrare infatti livelli elevatissimi in tutte le democrazie occidentali, e anche il numero degli iscritti cala di anno in anno. Tanto che, se nell’Europa degli anni Settanta circa un cittadino su dieci era membro di un partito, oggi quel valore risulta più che dimezzato. Pare allora che il lungo e tormentato viaggio dei partiti debba concludersi in modo inglorioso. E che, dopo uno sforzo più che millenario per essere accettati, perdano tutto il loro prestigio. 
Anche se negli ultimi anni lo sgretolamento della legittimità dei partiti è diventato più evidente, le radici di questo processo affondano negli anni Sessanta. In questa fase – come mostra Ignazi – i vecchi partiti di massa incominciano ad allentare i legami con le ideologie e le identità subculturali di riferimento. E, a partire dagli anni Ottanta, prendono inoltre a ‘cartellizzarsi’, nel senso che diventano sempre più simili tra loro e instaurano un rapporto simbiotico con lo Stato. Le relazioni con il territorio, con la base degli iscritti e i militanti vengono progressivamente ad assottigliarsi, fino a dissolversi. Per un verso, dunque, i partiti si allontanano sempre più dalla società, mentre, dall’altro, le necessità della campagna elettorale permanente impongono vertici sempre più accentrati, oltre che dotati di imponenti risorse comunicative e finanziarie. Risorse che non vengono più garantite dalle quote pagate dagli iscritti, bensì dal finanziamento pubblico, dalla colonizzazione dell’amministrazione, dal clientelismo. 
Proprio grazie a queste risorse, oggi i partiti sono molto più potenti e ricchi dei vecchi partiti di massa. Ma questa forza – come recita il titolo del volume di Ignazi – risulta sempre più priva di legittimità. E sono proprio i partiti a demolire progressivamente il loro stesso mito. Come osserva il politologo, “mostrano tutte le rughe di ogni organizzazione complessa, piena di interessi materiali e personali”, e “non incarnano più quegli ideali di passione e dedizione, di impegno e convinzioni che essi stessi sbandieravano come connaturati alla loro esistenza”. Così, molti cittadini vedono nei partiti soltanto dei Leviatani sgraziati e ingordi, dei giganti sempre più potenti, i cui piedi d’argilla appaiono però di giorno in giorno più fragili. Giganti che certo sono destinati a dominare ancora a lungo la scena delle nostre democrazie. Ma che possono tornare a riconquistare la legittimità perduta solo tornando a ricucire, con il filo della politica, il rapporto con la società

Damiano Palano

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