di Damiano Palano
Una leggenda, evocata da Hannah
Arendt, racconta che un cavaliere attraversò il lago di Costanza senza neppure
sospettare di muoversi su una sottilissima lastra di ghiaccio. Giunto sulla
riva opposta del lago e compreso il terribile rischio che aveva corso, il
cavaliere ne rimase talmente scosso da morire per lo spavento. È proprio con
l’immagine del cavaliere di Costanza che si chiude la riflessione sviluppata da
Emilio Raffaele Papa nel suo recente L’altra
faccia della democrazia. Per una democrazia della sorveglianza (Pier o Lacaita Editore, pp. 162, euro 15.00). Un po’
come il leggendario cavaliere, anche la democrazia occidentale ha camminato
infatti per quasi mezzo secolo sul sottile strato ghiacciato della Guerra
fredda. E, come il cavaliere, sembra paradossalmente entrare in crisi proprio
nel momento in cui i suoi zoccoli non poggiano più sulla fragile superficie
dell’equilibrio bipolare.
Partendo dalle sfide con cui si
trovano oggi alle prese i nostri sistemi politici, il volume di Papa –
congegnato come un trattatello settecentesco, e non privo di spunti polemici
nei confronti di molti ricorrenti luoghi comuni politologici – ripercorre la
storia della democrazia occidentale, dalle origini greche fino alle
trasformazioni contemporanee. E il punto critico su cui attira l’attenzione è
costituito soprattutto dalla progressiva atrofia delle assemblee elettive e dei
partiti politici, ossia proprio di quegli organi cui in passato erano affidate
le funzioni principali della rappresentanza politica. Naturalmente, le
motivazioni alla base di tali trasformazioni sono complesse, e rimandano
peraltro a un cambiamento più generale. Un cambiamento che sembra condurre a
quella che Papa – mutuando una suggestiva espressione di Jacquex Géneréux –
definisce come una «dissocietà»: una società di individui ‘dissociati’, sempre
meno inclini alla partecipazione civica e sempre più ripiegati sugli interessi
privati. Proprio questa «dissocietà», così vicina alla folla di individui
egoisti prefigurata da Tocqueville, non può che inaridire il terreno su cui si
reggono le istituzioni democratiche. Ed è infatti in questo contesto che
proliferano sia la protesta antipolitica, sia la ricerca di soluzioni
carismatiche.
A differenza del cavaliere del
lago di Costanza, la democrazia occidentale è però ben consapevole dei rischi
che ha corso. E, secondo Papa, ha anche le risorse per proiettarsi verso un
nuovo avvenire. La strada indicata da Papa non passa comunque dai tradizionali
meccanismi della rappresentanza, bensì da una consapevole «democrazia della
sorveglianza», ossia da una riscoperta dell’istituto del defensor civitas. Ma il difensore civico nazionale cui pensa Papa
non è un organo di accertamento, di denuncia, di dialettica. Si tratta infatti
un organo di controllo. Un organo che dovrebbe tutelare i cittadini, ma che, al
tempo stesso, dovrebbe essere sottratto alla logica delle contrapposizioni
partigiane.
La «democrazia della
sorveglianza» profilata da Papa sembra per molti versi riprendere la tradizione
svedese dell’Ombudsman. Ma, da un
certo punto di vista, pare anche attualizzare l’istituto romano del tribunato
della plebe. E il merito principale della proposta consiste d’altronde nel
tentativo di rispondere in termini originali alle difficoltà che sperimentano i
sistemi rappresentativi. Se non altro perché prende atto della crescente
divaricazione fra apparati politici e cittadini che abbiamo sotto gli occhi.
Una divaricazione che forse non trasforma il ‘popolo’ in una ‘plebe’. Ma che,
probabilmente, anche nei prossimi anni non è destinata ad attenuarsi.
Damiano Palano
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