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lunedì 17 settembre 2012

Governare un mondo in frantumi. "Domani, chi governerà il mondo?" di Jacques Attali


di Damiano Palano

Nel 1795, mentre l’Europa entrava in una lunga stagione di conflitti e lacerazioni, Immanuel Kant consegnò a una manciata di pagine una proposta per cancellare definitivamente il dramma della guerra dalla scena del mondo. La soluzione, secondo il filosofo di Königsberg, consisteva nella creazione di una federazione universale di repubbliche, che si impegnassero a riconoscere agli stranieri le garanzie di un diritto cosmopolitico. Ovviamente, Kant era ben consapevole degli ostacoli che si frapponevano alla realizzazione di un simile progetto. E non senza ironia, intitolò il proprio frammento Per la pace perpetua, prendendo a prestito l’iscrizione satirica intravista sull’insegna di un’osteria olandese, su cui era dipinto un camposanto.
A distanza di più di due secoli, nel suo recente Domani, chi governerà il mondo? (Fazi, pp. 405, euro 16.00), Jacques Attali – economista, giornalista, consigliere di Mitterand e primo presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo – torna a riproporre un progetto molto simile a quello kantiano. Ma non ritiene che sia solo un disegno utopico. Piuttosto, si tratta a suo avviso di una necessità di cui il mondo dovrà prendere atto.
Il saggio di Attali si colloca nel fortunato genere letterario della ‘futurologia’, e del genere mostra tanto i pregi quanto gli inevitabili limiti, evidenti soprattutto nelle brevi ricostruzioni con cui Attali ripercorre, a volo d’uccello, la storia dei grandi imperi del passato. Ma al di là di queste semplificazioni, non si può negare che la riflessione di Attali poggi su una diagnosi piuttosto realistica. In sostanza, il futurologo francese prende atto del mutamento che sta investendo la politica mondiale. Per un verso, gli Stati Uniti sembrano incamminati verso un lento declino. Per l’altro, la Cina pare destinata a diventare, fra venti o trent’anni, la prima potenza sul piano economico, se non su quello militare. Ma ciò non significa, secondo Attali, che assisteremo semplicemente a una ‘transizione egemonica’, a un passaggio del testimone fra il leader di ieri e quello di domani.




Il punto è piuttosto che nessuna potenza – né gli Usa, ma neppure la Cina, né tantomeno l’Europa o il G-20 – avrà la possibilità di assumere il controllo del mondo. La conseguenza sarà dunque una condizione di «caos policentrico». Un caos determinato soprattutto dal mercato globale, la cui azione del tutto incontrollata condurrà «alla scomparsa progressiva di qualsiasi Stato di diritto, a un’anarchia esplosiva, a disuguaglianze estreme, a sempre maggiori migrazioni, al rarefarsi di numerose risorse, a guerre regionali molto violente, a disordini finanziari e climatici». Dato che nessuna delle istituzioni internazionali esistenti sarà in grado di far fronte all’irrompere di queste forze, le implicazioni – secondo Attali – rischiano di essere molto simili a quelle dell’inizio del XX secolo: il ritorno dei nazionalismi e di regimi autoritari arroccati sulla difesa delle rispettive identità.  
Per Attali, una soluzione può giungere soltanto dalla costruzione di un «governo mondiale», di cui il saggista delinea anche i tratti principali. Il futuro governo mondiale, secondo Attali, dovrà essere infatti federale e democratico, e dovrà essere dotato di un parlamento tricamerale, oltre che degli strumenti per garantire il rispetto delle proprie leggi.
Il progetto di governo mondiale evocato da Attali ripropone alcune delle idee al cuore dei diversi progetti di democrazia cosmopolitica elaborati negli ultimi vent’anni da teorici come David Held e Jürgen Habermas. In questo senso, non può che presentare gli stessi problemi, che non consistono soltanto nelle difficoltà di realizzazione, ma anche nel rischio che l’aspirazione a una democrazia mondiale possa coprire le ambizioni di potenza di alcuni Stati.
Ciò nonostante, il progetto di una sorta «Stato globale» oggi non è più solo un’utopia, ma, in qualche misura, una necessità reale. E non è certo casuale che anche Benedetto XVI negli ultimi anni sia più volte tornato sulla necessità di un governo mondiale, in grado di dare stabilità a un pianeta sempre più frammentato e al tempo stesso interconnesso. D’altronde, il dramma della crisi globale ci conferma ogni giorno che le istituzioni internazionali devono essere ripensate dalle fondamenta. E proprio in questo modo si prepara forse il terreno del futuro governo mondiale. Un governo che probabilmente non assumerà il volto inquietante di un super-Stato planetario, né riuscirà a garantire la «pace perpetua». Ma che, quantomeno, potrebbe rendere meno vulnerabili le nostre società.

Damiano Palano


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