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giovedì 9 agosto 2012
La scienza politica come professione. Un libro di Davide Gianluca Bianchi su Gianfranco Miglio
di Damiano Palano
Questa recensione del volume di Davide G. Bianchi, "Dare un volto al potere. Gianfranco Miglio fra scienza e politica", è apparsa su "Avvenire" il 20 giugno 2012.
Al principio del corso di Scienza della politica che ebbe modo di tenere per un ventennio all’Università Cattolica, Gianfranco Miglio era solito leggere ai propri studenti alcune pagine di Max Weber. Si trattava dei passi principali di due conferenze che lo studioso tedesco aveva pronunciato pochi mesi prima della morte, e che in qualche modo costituivano il suo testamento intellettuale. La scelta di Miglio ovviamente non era fortuita. Le due conferenze – dedicate alla Scienza come professione e alla Politica come professione – dovevano dischiudere all’uditorio le porte della scienza dei fenomeni politici. Tanto che Miglio consigliava ai giovani ascoltatori di tenere sempre in tasca il volume delle due lezioni, quasi fossero – come scrisse – l’indispensabile “breviario laico per una persona colta”
La lezione di Weber rappresentò in effetti per Miglio una sorta di stella polare, e anche per questo è assolutamente opportuna la scelta compiuta da Davide Gianluca Bianchi, nel recente Dare un volto al potere. Gianfranco Miglio fra scienza e politica (Mimesis, pp. 188, euro 18.00), che scandisce l’itinerario dell’intellettuale comasco in due sequenze, intitolate proprio Wissenschaft als Beruf e Politik als Beruf. L’intento del lavoro di Bianchi – che riproduce in appendice anche il carteggio fra Miglio e Carl Schmitt – consiste d’altronde nel portare alla luce i fili di continuità che esistono tra la ricerca politologica di Miglio, iniziata al principio degli Quaranta e proseguita fino alla fine degli anni Ottanta, e la stagione dell’impegno politico, avviata dopo la conclusione della carriera accademica e protrattasi per tre legislature (1992-2001).
Nelle pagine di Miglio emerge invariabilmente la convinzione ‘weberiana’ che i dati storici sui fenomeni politici possano essere ordinati in una serie di ‘regolarità’, ossia di tendenze costanti destinate a ripresentarsi ciclicamente nel tempo e nello spazio. Sulla base di una simile convinzione, Miglio cercò nei classici del realismo europeo i materiali per costruire una teoria generale centrata sulle ‘regolarità’ della politica. E, spinto da questo obiettivo, a un certo punto guardò con interesse persino all’etologia e alla sociobiologia. In questo senso, è piuttosto significativo che, durante la trentennale esperienza di preside della Facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica, Miglio abbia conferito una laurea honoris causa, nel 1981, a un pilastro dell’etologia novecentesca come Konrad Lorenz. Come si legge nella motivazione, su cui opportunamente Bianchi attira l’attenzione, le scoperte di Lorenz offrivano infatti, agli occhi di Miglio, elementi fondamentali anche «per lo studio delle relazioni che si definiscono comunemente ‘politiche’». E per questo, le ricerche sul comportamento degli animali potevano essere considerate come «un contributo prezioso all’avanzamento della politologia».
Naturalmente, l’interesse per l’etologia rimane uno degli aspetti al tempo stesso più affascinanti e più controversi della politologia migliana. E non è certo sorprendente che proprio attorno a questo nodo siano state intraviste le tracce di un deleterio ‘vetero-positivismo’. Ciò nonostante, è indispensabile tenere presente che Miglio non sottovalutò mai la complessità dei fenomeni politici, e che non dimenticò mai di considerare l’essere umano come ‘animale simbolico’. D’altronde, nel corso della sua carriera, fu soprattutto un appassionato studioso delle grandi ‘finzioni’ ideologiche, ossia della grandi ‘maschere’ con cui il potere viene rivestito e legittimato (oltre che talvolta ‘imbrigliato’). E, così, il suo costante obiettivo fu davvero – come recita il titolo del volume di Bianchi - «dare un volto al potere», ossia mostrare le relazioni di potere occultate sotto le diverse formule ideologiche.
Trasportato sul palcoscenico della politica, lo sguardo di Miglio doveva essere confuso con una sorta di compiaciuto cinismo. E paradossalmente – come spesso avviene per i grandi realisti prestati alla politica – doveva anche combinarsi con una certa ingenuità, dovuta forse all’incapacità di comprendere fino in fondo le meschinità cui può giungere la pratica politica quotidiana. Anche durante la stagione dell’impegno politico, Miglio non venne comunque meno alla lezione weberiana. Persino in quella fase, intese infatti la politica come Beruf, come una ‘chiamata’ e come un impegno solenne. Così come, per quasi mezzo secolo, aveva inteso la ricerca scientifica come una ‘vocazione’. E forse per questo, nell’epitaffio inciso sulla lapide del tomba di famiglia di Domaso, le due ‘vocazioni’ di Miglio – Professore universitario e Senatore della Repubblica – si trovano affiancate l’una all’altra, a fissare il senso di un intero cammino intellettuale.
Damiano Palano
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