Pagine

giovedì 7 giugno 2012

La sovranità dell’Europa e il default della Grecia. Intervista a Damiano Palano a cura di Luigi Marcadella


Questa intervista è apparsa, in una versione leggermente diverse, sul settimanale “La Voce dei Berici” di domenica 27 maggio 2012

Il giornalista economico Ettore Livini ha anticipato quello che potrebbe scaturire nel sistema finanziario europeo a seguito dell’uscita di Atene dall’euro. Un maremoto economico difficilmente circoscrivibile all’isola greca. Con scenari da incubo per i greci, per gli europei e per gli italiani.
L’Europa vive in un’attesa pressoché immobile i risultati delle elezioni in Grecia il 17 giugno, che possono davvero cambiare il corso della storia politica ed economica dell’Europa. Intanto l’Ue non ha uno straccio di linea comune: tutte le proposte, come quelle dell’emissione di titoli di debito europei (eurobond), si infrangono nell’inflessibilità tedesca.
Per Damiano Palano, professore di relazioni internazionali alla Cattolica di Milano, la riflessione sul futuro dell’eurozona parte da assunti politici e non finanziari.
«La vittoria di Hollande chiude sicuramente un ciclo della politica europea. Ma cosa ci riserverà il nuovo ciclo rimane ancora poco chiaro, sia per l’Europa, sia per l’Italia. Al cuore del programma che ha portato Hollande all’Eliseo sta l’obiettivo di chiudere con una stagione segnata soltanto dal ‘rigore’ economico e di aprire invece una nuova fase concentrata sul sostegno alla crescita. Si tratta di obiettivi condivisibili, ma ciò non significa che siano facilmente realizzabili. In altre parole, non è soltanto una questione di scarsa volontà politica, ma anche di avere a disposizione strumenti istituzionali adeguati. E l’Unione europea di oggi non ha disposizione strumenti in grado di incidere effettivamente sulla crescita. Il problema non consiste allora soltanto nel superare le resistenze della Germania sulla linea del rigore, ma anche nell’avviare una ridefinizione più radicale dei poteri dell’Ue. E dobbiamo comunque avere presente che questo sarebbe un processo inevitabilmente costoso, anche in termini politici»

L’asse Merkel e Sarkozy, complice la debolezza finanziaria di molti paesi dell’eurozona, ha egemonizzato la politica di Bruxelles. Usciti di scena Sarkozy e Berlusconi, con la Merkel in caduta libera, che ruolo si ritaglierà l’Italia di Monti? «Senza dubbio il governo Monti ha avuto il merito di ristabilire la credibilità internazionale dell’Italia, e uno dei principali obiettivi alla base di questa operazione era d’altronde proprio ‘calmare’ i mercati. Sul piano europeo, è inoltre indiscutibile che Monti stia giocando una partita difficile, volta ad attenuare le posizioni rigoriste dei tedeschi e quei vincoli di bilancio che rendono impraticabili politiche dirette a favorire crescita economica. Ma non dobbiamo dimenticare una cosa importante. Il governo Monti ha ormai concluso la fase ascendente della propria parabola. Dopo le elezioni amministrative, è già cominciata la lunga fase discendente. Nei prossimi mesi, perderà molto probabilmente gran parte del sostegno di cui ha goduto finora. La sua attività incontrerà così sempre più ostacoli nelle stesse forze politiche che lo sostengono. E la credibilità dell’Italia, così faticosamente riconquistata, potrebbe allora tornare a vacillare anche sul piano europeo».

Alba dorata in Grecia, Marine Le Pen in Francia, il partito di estrema destra Jobbik in Ungheria. I partiti estremisti di destra e sinistra stanno erodendo il consenso delle ali moderate nei Parlamenti del vecchio continente. Tutte formazioni antieuropeiste. Se si aggiunge il probabile addio di Atene dall’Euro, quanto rischia il cammino dell’integrazione politica ed economica dell’Europa?
«Il processo di integrazione non è mai stato a rischio come in questo momento. Ma non è sufficiente attribuire la responsabilità di queste difficoltà alle formazioni anti-europeiste. Piuttosto, il ritorno di simboli e slogan quantomeno preoccupanti è il risultato di nodi che solo ora vengono al pettine. Nodi che riguardano le stesse modalità con cui il processo di integrazione è stato pensato e realizzato. Sia chiaro: il processo di integrazione è per molti versi una necessità indispensabile per un’Europa che rischierebbe altrimenti di diventare del tutto marginale economicamente e politicamente nel mondo del XXI secolo. Il punto è però che si è pensato che l’integrazione politica dovesse scaturire ‘spontaneamente’ e senza traumi dall’unificazione economica e monetaria. Non soltanto è stato attribuito all’economia un ruolo ‘sovrano’, ma si è anche pensato che l’integrazione non producesse costi enormi in termini sociali. Invece non poteva essere così, e non è stato così. Oggi gli europei si sono svegliati da questo sonno e hanno scoperto uno scenario drammatico. Con conseguenze che sono preoccupanti già oggi, ma che rischiano di diventare anche più serie nei prossimi anni».

A spingere sul tasto dell’antieuropeismo gioca anche la rinnovata questione della sovranità politica ed economica dei paesi europei. Dopo l’arcinota lettera della Bce con destinatario il governo italiano, molti commentatori parlano di commissariamento delle prerogative nazionali da parte delle banche centrali e dei mercati finanziari. Quanto la preoccupano le invasioni di campo di Bce e Fmi?
«La famigerata lettera della Bce è solo uno degli episodi più eclatanti che segnalano il ruolo che le istituzioni finanziarie internazionali hanno conquistato negli ultimi anni. Senza dubbio si tratta di un processo che riduce l’effettiva ‘sovranità’ delle nostre democrazie. Dietro queste dinamiche c’è però una trasformazione più radicale, che ha mutato il volto delle nostre economie e che ha consegnato all’economia finanziaria un potere enormemente superiore a quello che aveva nel passato. È comunque troppo semplice contrapporre l’economia ‘reale’ a quella ‘finanziaria’, attribuendo le responsabilità solo alla seconda. La verità è che le logiche finanziarie sono ormai penetrate largamente non solo in tutti gli aspetti dell’attività produttiva, ma anche nelle nostre vite. Il punto più insidioso è però che l’economia finanziaria è intrinsecamente ‘irrazionale’. Non si fonda su calcoli che i singoli attori fanno razionalmente, ma su ‘convenzioni’, e dunque su basi che possono dissolversi nel giro di qualche ora, per effetto di ondate di panico. Gli Stati si trovano a rincorrere i mercati, adottando misure anche dalle conseguenze sociali enormi e durature (come la riforma delle pensioni in Italia). Ma si tratta di un lavoro di Sisifo che rischia di non avere mai termine, per la stessa natura dei mercati finanziari».

La crisi del debito strangola nuovamente i nostri titoli di stato, i mercati ci tengono sott’occhio. Chi sono i nemici dell’Italia in questo momento?
«In questa specie di ‘guerra’ che stiamo combattendo i ‘nemici’ sono in larga parte invisibili o inafferrabili. Dietro i ‘mercati’, ci sono sicuramente speculatori che approfittano della situazione, ma anche fondi di investimento che gestiscono i soldi dei piccoli risparmiatori, operando secondo una logica ‘economica’. Il problema dell’Italia non è però solo finanziario. Anzi, il principale ‘nemico’ dell’Italia è forse proprio l’Italia. Negli ultimi anni, il nostro Paese ha perso infatti una parte rilevante delle proprie attività manifatturiere, ma al tempo stesso non ha saputo riconquistare la competitività perduta in settori nuovi. Il ‘declino’ economico dell’Italia – un declino che è ormai sotto gli occhi di tutti – non ha un’unica causa, ma è probabilmente l’effetto di fattori diversi e di scelte politiche quantomeno poco oculate. Per esempio, del modo con cui sono state realizzate le privatizzazioni nei primi anni Novanta, delle riforme del mercato del lavoro che hanno penalizzato le giovani generazioni, della rigidità monetaria, dell’assenza di infrastrutture e sostegno alla ricerca. A questo punto, è del tutto inutile cercare le responsabilità politiche, che d’altronde sono ben distribuite fra tutti i governi della ‘Seconda Repubblica’. Ma si tratta quantomeno di riconoscere gli errori, per evitare di ripeterli»

Le teorie complottiste sembrano certe volte essere superate dalla realtà. Come si spiega l’ultimo anno di storia europea senza ricorrere a scorciatoie alla Bilderberg o alla Trilateral…?
«È molto difficile sottrarsi alle suggestioni del complotto quando si guarda a quello che abbiamo vissuto negli ultimi dodici mesi. E, d’altronde, è facile immaginare che ci siano effettivamente interessi e gruppi che, pur operando nell’ombra, cercano di spingere gli eventi in un certa direzione. Ma queste spiegazioni rischiano di essere troppo semplici. O, meglio, rischiano di confondere un sintomo con la causa della malattia. Da un certo punto di vista, i tentativi di ordire ‘complotti’ sono sempre esistiti, e la storia italiana dell’ultimo mezzo secolo ne è piena. Ma molto raramente questi progetti si traducono in realtà o raggiungono i loro obiettivi. La novità di questi anni è piuttosto la fragilità dei nostri sistemi politici, incapaci di resistere alle pressioni e del tutto prive della capacità di governare un mondo sempre più frammentato e complesso. Ed è in questo vuoto di potere che eventualmente si può inserire l’azione più o meno occulta di attori che si celano fra le quinte del palcoscenico mondiale. Ma credere ai grandi burattinai finisce anche per essere un atteggiamento consolatorio, perché ci liberà da qualsiasi responsabilità storica e politica».

L’Italia perde peso anche in politica internazionale. Il caso dei Marò in India: facciamo troppo poco dal punto di vista diplomatico o l’India è ormai una superpotenza che può permettersi di snobbarci senza troppe remore? «Il caso dei Marò e la vertenza diplomatica che si è aperta ci mette in effetti di fronte all’ascesa di una nuova potenza del XXI secolo come l’India e ai segnali di declino di una media potenza come l’Italia. Non si possono trarre conseguenze di carattere generale da una situazione così specifica, ma certo non possiamo attenderci che l’Italia conservi immutato il proprio ruolo internazionale in un quadro in cui Stati ‘quasi continentali’ – come Cina, Brasile e la stessa India – si affacciano sulla scena della politica mondiale, con la richiesta legittima di ‘contare di più’. Negli ultimi anni, non si può dire che l’Italia non abbia avuto una politica estera. Per esempio, l’Italia di Berlusconi ha ricercato una propria dimensione internazionale seguendo però traiettorie che si sono in parte rilevante fallimentari e hanno messo in discussione il rapporto con gli Usa. Questi segnali ci dovrebbero però confermare che per l’Italia l’unica possibilità di avere un ruolo continua a passare per l’Europa. In un mondo multipolare e frammentato, in cui gli Stati Uniti finiranno con lo spostare il loro baricentro verso il Pacifico, solo un’Europa unita può infatti mettere sul piatto un peso significativo, capace di bilanciare la massa dei protagonisti dei prossimi decenni. Ma si tratta di capire quale volto avrà davvero l’Europa del futuro. E quale sarà il ruolo dell’Italia».

1 commento:

  1. Berlusconi è stato fatto fuori dai "poteri forti".
    Mentre eravamo ditratti dalla spettacolarità mediatica della avventure di Arcore (roba da giornaletti da parrucchiere) ci hanno fatto il "colpo di Stato silenzioso".
    Mettendocio un bancario al potere.
    Amico, di padoaschippa, di Visco e di Prdoi.
    Guarda caso quelli che ci han fatto entrare in Europa.
    Oggi il debito è SALITO, lo spread è a livelli berlusconiani con MENO ECONOMIA e più DISOCUPPAZIONE.
    In più diamo 500 eruo al mese agli immigrati appena sbarcati mentre i notrsi vecchi rovistano nella spazzatura...

    RispondiElimina