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sabato 30 giugno 2012

Il fortino assediato dei partiti. Dopo le elezioni amministrative




di Damiano Palano

Questo articolo è apparso a fine maggio sul numero 6/2012 del mensile "Cronache e Opinioni" del Centro Femminile Italiano, come commento ai risultati delle elezioni amministrative.

Annunciata e temuta da mesi, l’«antipolitica» si è alla fine materializzata nei risultati delle elezioni amministrative di maggio. I dati relativi all’affluenza hanno infatti reso tangibile quel sentimento di ‘disaffezione’ nei confronti dei partiti che molti sondaggi e ricerche segnalavano da tempo. Ma soprattutto il successo dei candidati del Movimento 5 Stelle ha fornito un segnale concreto della direzione che potrebbe prendere quella miscela di risentimento, sfiducia e volontà di cambiamento ormai diffusamente percepibile nell’opinione pubblica italiana.
Anche se è sempre molto rischioso trarre considerazioni di carattere generale da consultazioni amministrative, il ‘test’ di maggio sembra comunque indicare alcune tendenze. La prima è senza dubbio relativa al risultato estremamente deludente dei due partiti usciti vincitori dalle elezioni politiche del 2008, il Pdl e la Lega Nord, la cui sconfitta era senz’altro prevedibile, ma non in queste proporzioni. Come ha notato Roberto D’Alimonte, l’erosione del sostegno di queste forze ha assunto infatti i caratteri di un vero e proprio «smottamento». La seconda tendenza è invece relativa ai potenziali sfidanti dell’ex-maggioranza di centro-destra, che solo in parte hanno beneficiato della sconfitta degli avversari. Per un verso, il risultato non entusiasmante del ‘Terzo polo’ ha fatto emergere una serie di frizioni e di incompatibilità presenti a livello genetico in una forza politica il cui ruolo poteva essere solo temporaneo. Per l’altro, decisamente più positiva è stata la prova del Pd, che però deve il successo riportato in molte realtà locali al ruolo giocato da ampie alleanze con le altre forze di centro-sinistra (principalmente Idv e Sel).
Il fattore di maggiore novità della scadenza elettorale amministrativa è comunque rappresentato dalla performance del Movimento 5 Stelle. I suoi candidati hanno infatti conquistato il ballottaggio in cinque comuni con più di 15.000 abitanti, ma, più in generale, nelle realtà in cui si è presentata, questa formazione ha ottenuto un risultato mediamente superiore al 10%. Benché per il Movimento 5 Stelle e il suo leader-istrione Beppe Grillo sia spesso utilizzata la formula «anti-politica», è sempre più evidente che si tratta di un’etichetta solo in parte appropriata, se non fuorviante. Ciò non significa però che il futuro movimento non sia ricco di incognite, dovute alle dinamiche interne e allo scenario complessivo dei mesi che ci separano dalle elezioni politiche. In primo luogo, il Movimento 5 Stelle ha una struttura organizzativa largamente inedita, per alcuni versi riconducibile a quella di un ‘partito in franchising’. Se per competizioni politiche locali modalità operative di questo genere si possono rivelare estremamente efficaci, la situazione non può che essere diversa nella prospettiva di una competizione politica nazionale e di un eventuale ingresso in Parlamento. In tal caso un coordinamento stabile e la definizione di una leadership formalizzata diventano infatti indispensabili, con tutte le conseguenze che da ciò derivano per la vita di un partito. In secondo luogo, le incognite del Movimento 5 Stelle sono legate all’evoluzione del quadro politico complessivo. Per affermarsi in modo significativo, un nuovo partito ha d’altronde bisogno di una ‘finestra di opportunità’, ossia della presenza di uno spazio sguarnito nel ‘mercato elettorale’ da poter occupare. E sono proprio le dimensioni di questo spazio non presidiato che sembrano destinate a crescere nei prossimi mesi.
È ovviamente difficile prevedere come si evolverà il quadro nei prossimi mesi, perché le variabili che entrano in gioco sono numerose, non ultima il probabile mutamento dell’offerta politica nel campo del voto ‘moderato’. Senz’altro, un ruolo determinante sarà però giocato dall’andamento della crisi economica, a proposito del quale non sono peraltro in vista nel breve periodo miglioramenti significativi. Di fronte a questa situazione (e a un suo eventuale peggioramento), la leadership di Mario Monti è probabilmente destinata a indebolirsi. Spinti da una sorta di sindrome da ‘fortino assediato’, i principali partiti di governo – e cioè Pd e Pdl – aumenteranno la loro conflittualità, nel tentativo di ‘smarcarsi’ dall’esecutivo ‘tecnico’ in vista delle elezioni e di non perdere terreno rispetto agli sfidanti ‘esterni’ alla dinamica bipolare. La tentazione di non cambiare la legge elettorale diventerà inoltre molto forte proprio fra i due attori presenti in Parlamento. A dispetto dei notevoli limiti, il sistema elettorale attuale assegna infatti un fortissimo potere di attrazione agli attori ‘oligopolistici’, sia perché la soglia di sbarramento tende a penalizzare i partiti che non si presentano in grandi coalizioni, sia perché il criterio di assegnazione del premio di maggioranza induce l’elettore al ‘voto utile’, ossia a votare solo per quelle coalizioni che hanno credibili possibilità di conquistare la maggioranza relativa. In questo modo, i partiti della ‘Seconda Repubblica’ potrebbero forse arginare le minacce provenienti dal Movimento 5 Stelle o da altri soggetti. Una soluzione di questo tipo potrebbe inoltre garantire la formazione di uno stabile esecutivo, sostenuto da una larga maggioranza parlamentare e capace di ‘traghettare’ il Paese fra i marosi della crisi globale ed europea. Ma l’odierna frammentazione del sistema partitico rende un simile scenario molto incerto, anche perché il sistema elettorale vigente non garantisce affatto contro il rischio dell’ingovernabilità. Probabilmente, la combinazione fra la crescente conflittualità dei partiti di governo e una mancata riforma elettorale potrebbe invece produrre conseguenze opposte. Alimentando ulteriormente lo ‘scollamento’ degli elettori dai partiti della ‘Seconda Repubblica’. E, soprattutto, rafforzando la sensazione di una classe politica indifferente alla situazione del «Paese reale» e ostinatamente asserragliata nel proprio fortino.

Damiano Palano

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