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sabato 26 maggio 2012

Il «sacro» e la politica internazionale. Un libro a cura di Valter Coralluzzo e Luca Ozzano

di Damiano Palano



Una versione parzialmente diversa di questo testo è apparsa su "Avvenire" del 19 maggio 2012 con il titolo "Il Dio negato della diplomazia"

Silete, theologi, in munere alieno! Con questo monito Alberico Gentili concludeva una delle riflessioni più dense del suo De jure belli, pubblicato sul finire del Cinquecento e destinato a influenzare la riflessione di Ugo Grozio. L’invito che Gentili indirizzava ai teologi riguardava in particolare il concetto di ‘guerra’ e profilava il sentiero che avrebbe imboccato l’Europa dalla metà del XVII secolo. A partire da quel momento, la ‘guerra’ doveva infatti diventare una condotta riservata soltanto agli Stati, e qualsiasi considerazione teologica sulla sua legittimità doveva dunque essere espulsa dalla discussione politica e giuridica. Storicamente, la ‘depoliticizzazione’ della religione, sancita convenzionalmente dalla Pace di Vestfalia, costituì una soluzione alle lacerazioni aperte nel Vecchio continente dalla rottura dell’unità della Christiana Respublica. Ma quel processo ebbe anche un duraturo effetto sul modo di concepire la politica internazionale. Tanto che continua ancora oggi a influire sulle Relazioni Internazionali, la disciplina accademica che si occupa di spiegare e comprendere le dinamiche del sistema mondiale.
In effetti la politologia internazionalista non ha percorso una traiettoria diversa da quella delle altre scienze sociali, segnate in profondità dal paradigma della secolarizzazione. Ma, nel caso delle Relazioni Internazionali, la convinzione che la religione tenda a diventare sempre meno rilevante nelle società avanzate si è combinata con uno dei tratti genetici del sistema interstatale moderno, ossia proprio con l’espulsione della dimensione del ‘sacro’. Così, se a partire dalla fine degli anni Settanta molti scienziati sociali hanno riconosciuto i tratti di quella che Gilles Kepel ha definito come la revanche de Dieu, gli specialisti delle Relazioni Internazionali hanno esitato a compiere lo stesso passo, nonostante la rilevanza del fattore religioso sia emersa in modo prepotente.
Solo molto di recente alcuni politologi hanno iniziato a prendere atto di come il ‘ritorno del sacro’ richieda un ripensamento proprio del paradigma vestfaliano, e cioè di quella visione che espelleva dal campo la dimensione religiosa. E un contributo importante allo sviluppo del dibattito in questa direzione è ora offerto da un testo curato da Valter Coralluzzo e Luca Ozzano, Religioni tra pace e guerra. Il sacro nelle relazioni internazionali del XXI secolo (Utet Università, pp. 226, euro 23.00). Il volume, preceduto da una prefazione di Vittorio Emanuele Parsi, ospita infatti contributi dedicati sia a un ripensamento teorico del rapporto fra il sacro e la politica internazionale, sia all’approfondimento di alcuni dei casi in cui la dimensione religiosa rappresenta una variabile fondamentale. Il taglio dei testi restituisce la pluralità degli sguardi con cui i rapporti fra politica e religione possono essere considerati, e in questo senso, più che proporre una specifica lettura, il volume di Coralluzzo e Ozzano apre un percorso di discussione. Nell’auspicio che – come scrivono i due curatori nelle pagine introduttive – i politologi adottino finalmente «un atteggiamento che sia meno orientato verso l’esclusione o la stigmatizzazione aprioristica della religione e più propenso a comprenderne in concreto il ruolo, con un’analisi approfondita che si sottragga a qualunque ipoteca di tipo filosofico e/o ideologico, come pure ai pregiudizi legati all’adozione di un particolare paradigma interpretativo».
L’obiettivo del libro consiste d’altronde nell’offrire strumenti interpretativi adeguati alla complessità del fenomeno. E, soprattutto, nel superare le  due trappole speculari dell’‘essenzialismo’, che considera le religioni mondiali come indissolubilmente legate a determinate aree geopolitiche, e dello ‘strumentalismo’, che rappresenta invece le religioni solo come ideologie utilizzate dalle élite per ottenere consenso. In realtà, come osservano Coralluzzo e Ozzano, il ruolo che gioca il fattore religioso è tutt’altro che riducibile all’interno di schemi costanti. Proprio per questo la sua comprensione richiede un esame attento, che riesca anche a riconoscere la specificità della dimensione del ‘sacro’. E che, soprattutto, sia in grado di comprendere il ruolo che già oggi, in modo più o meno visibile, gli attori religiosi svolgono nel dialogo fra le civiltà.


Damiano Palano

Valter Coralluzzo e Luca Ozzano, Religioni tra pace e guerra. Il sacro nelle relazioni internazionali del XXI secolo, Utet Università, pp. 226, euro 23.00. Prefazione di V.E. Parsi.

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