Questo testo riproduce gli stralci conclusivi dell’intervento «Democrazia e governabilità», presentato in occasione del Convegno «Democrazie a confronto», organizzato a Recoaro Terme nel settembre 2011 dall’Istituto Rezzara di Vicenza. Gli atti del Convegno, in via di pubblicazione, possono essere richiesti all’Istituto Rezzara .
di Damiano Palano
Nell’agosto del 2011, alcuni giorni dopo la rivolta scoppiata in alcuni quartieri di Londra, il premier britannico David Cameron annuncia alla stampa la volontà di introdurre misure capaci di porre sotto controllo i social network, rivelatisi uno strumento molto efficace nella diffusione dei disordini. La dichiarazione non può non destare qualche ironia, dal momento che, proprio qualche settimana prima, Facebook e Twitter erano stati celebrati come un’arma formidabile di democrazia in mano ai contestatori dei regimi autoritari nord-africani, in Tunisia, Egitto, Siria. Ma l’annuncio di Cameron è solo il riflesso di una condizione più generale in cui si trovano oggi i sistemi democratici, e che va ben al di là dei problemi di ordine pubblico e del controllo dei disordini urbani. Proprio negli stessi giorni in cui si consuma la breve rivolta di Tottenham, molte democrazie occidentali sono investite da una tempesta finanziaria, destinata ad abbattersi sul Vecchio continente e sull’architettura istituzionale e monetaria dell’Unione Europea. Ovviamente, le cause più profonde della turbolenza finanziaria affondano le radici nella situazione dell’economia mondiale, come, d’altro canto, l’esplosione delle periferie inglesi ha alla base una situazione di profondo disagio sociale. L’aspetto forse più significativo è però che, sia nel caso del riot urbano di Londra, sia nel caso della tempesta finanziaria del 2011, le autorità di governo si trovano alle prese con flussi che non riescono a controllare pienamente e che riescono a influenzare solo in minima parte. Si tratta cioè di eventi che, in modo diverso, mettono in luce le difficoltà che sperimentano tutte le democrazie contemporanee, e che tendono a fare emergere l’aumento radicale dei margini di ingovernabilità. Naturalmente, le rivolte urbane e le ondate di panico in borsa non sono fenomeni nuovi, come, d’altro canto, non sono fenomeni nuovi le catastrofi naturali, le epidemie virali, l’inquinamento ambientale, la criminalità organizzata, la violenza di matrice terroristica. Ciò che rende ognuna di queste minacce diversa rispetto al passato è però la dimensione globale, che contrae i tempi della comunicazione, che aumenta la quantità di flussi che attraversano il pianeta, e che, inoltre, viene ulteriormente moltiplicata dall’incremento demografico mondiale.
La situazione in cui viene a trovarsi l’Europa nell’agosto del 2011 è però significativa anche perché sembra offrire una rappresentazione della condizione in cui rischiano di trovarsi le democrazie occidentali nei prossimi decenni. La risposta all’ingovernabilità degli anni Settanta è passata attraverso trasformazioni radicali, che hanno investito le economie occidentali e i sistemi politici, e che hanno visto inoltre indebolirsi profondamente le strutture politiche deputate all’articolazione e all’aggregazione degli interessi. A dispetto di tutte queste modificazioni, i margini di ingovernabilità non sono affatto diminuiti, mentre appaiono ‘disseccate’ le strutture di rappresentanza di quella che Alfio Mastropaolo ha definito come la «democrazia organizzata» postbellica, col risultato che – come nel riot londinese – i sistemi politici odierni si trovano almeno in parte privi dei canali in grado di trasformare la protesta in domande e proposte. Al tempo stesso, appaiono nettamente – e stabilmente – diminuite le risorse cui i governi potranno attingere in futuro per rispondere ai bisogni della società e per garantire la sicurezza dei propri cittadini contro i rischi ambientali, sanitari e ovviamente politici. E, a ben vedere, è proprio a proposito delle risorse che si delinea la sfida probabilmente più radicale alla capacità di governare la società. Le democrazie di domani si profilano effettivamente come democrazie senza crescita, perché – come è stato osservato – «la crisi di oggi segnala un punto di svolta nella gestione dell’economia globale e, per quanto riguarda i sistemi socio-economici europei, apre la prospettiva di un governo di società senza più crescita misurata sui vecchi criteri» (G.E. Rusconi, Governare senza crescita, in «La Stampa», 19 agosto 2011, p. 1 e p. 31). Ciò non comporta ovviamente che la democrazia sia destinata a essere travolta, perché è ancora possibile pensare a una sua rivitalizzazione, fondata anche sull’affermazione di pratiche deliberative e su un nuovo ruolo per la partecipazione. Ma non significa neppure che la sfida di una società senza crescita non metta profondamente in discussione il profilo delle democrazie che abbiamo conosciuto, e soprattutto la capacità di tenere fra loro stabilmente in equilibrio partecipazione e ordine politico, libertà e sicurezza, equità e benessere.
Damiano Palano
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