di Damiano Palano
Non è certo casuale che Quando la moneta muore, il saggio dedicato da Adam Fergusson all’iperinflazione tedesca nel periodo della Repubblica di Weimar, venga tradotto e presentato al pubblico italiano proprio in questi mesi, e cioè ben trentasei anni dopo la sua prima edizione inglese. La crisi finanziaria ha trasformato infatti il default di uno Stato da una semplice ipotesi a un incubo ricorrente. E una simile eventualità ha reso di allarmante attualità il caso dell’instabilità monetaria tedesca degli anni Venti, di cui Fergusson riporta alla luce le molteplici cause, le conseguenze sociali e i costi politici.
La tappa d’avvio della vertiginosa inflazione viene individuata da Fergusson nell’entrata della Germania nella Prima guerra mondiale. Confidando probabilmente in una rapida vittoria, il governo del Reich decise di finanziare lo sforzo bellico senza ricorrere all’imposizione di tasse, ma solo attingendo al credito. Contestualmente, venne anche sospesa la convertibilità in oro dei biglietti emessi dalla Reichsbank. Il Blitzkrieg si trasformò però in un’estenuante guerra di posizione. Ben presto le spese superarono largamente le entrate, e così nuove banconote iniziarono a inondare il mercato, avviando la marcia dell’inflazione.
Se questa situazione aveva già sensibilmente indebolito l’economia tedesca, la sconfitta, l’armistizio e le clausole della pace diedero alla Germania il colpo di grazia. La Repubblica nata dalle macerie della guerra non doveva peraltro affrontare solo l’emergenza di una ripresa economica resa difficile dalle riparazioni imposte a Versailles e dalla cessione dell’Alsazia-Lorena. Una minaccia ulteriore era infatti rappresentata dai tentativi di Putsch dei nazionalisti e dai progetti insurrezionalisti dell’estrema sinistra. Anche per questo, l’ipotesi di avviare una politica di risanamento mediante tagli di spesa e misure deflattive doveva essere scartata. E la soluzione adottata fu invece quella di svalutare il marco. In questo modo, si poteva garantire la competitività delle imprese tedesche e far fronte alle richieste di aumenti salariali (ammortizzando i rischi di instabilità politica). Ma questi effetti dovevano rivelarsi solo temporanei.
L’inflazione prese infatti a diventare inarrestabile, raggiungendo fra il 1921 e il 1923 livelli impressionanti. La ferma convinzione riposta nella solidità del marco lasciò il posto all’idea che lo Stato tedesco non potesse più far fronte agli impegni e che la bancarotta fosse inevitabile. L’evasione fiscale e la fuga dei capitali divennero fenomeni generalizzati. Quei cittadini che avevano prestato denaro al Reich per sostenere lo sforzo bellico, si ritrovarono invece in possesso di titoli che non avevano più alcun valore reale. E gli investimenti della classe media si dissolsero rapidamente, travolgendo tutte le tradizionali gerarchie sociali.
L’inflazione raggiunse il culmine nel dicembre del 1923, quando il marco oro arrivò alla spaventosa cifra di un milione di milioni di marchi. A quel punto, fu introdotto il nuovo Rentenmark e iniziò una relativa stabilizzazione, che non produsse comunque un benessere duraturo. Qualche anno più tardi, emersero infatti i costi sociali, tra cui soprattutto una disoccupazione di enormi proporzioni.
Naturalmente, si possono trovare alcune analogie fra la crisi odierna e la situazione della Germania di Weimar, e proprio su questi aspetti attira l’attenzione Loretta Napoleoni nelle pagine introduttive. Si tratta però di elementi che non vanno sopravvalutati, perché le due crisi maturano in un contesto internazionale piuttosto differente. L’aspetto più interessante è invece il quadro ‘psicologico’ ricostruito dal libro di Fergusson. Un quadro il cui tratto dominante, insieme alla perdita di fiducia nello Stato, è la totale incomprensione degli eventi. Come mostra Fergusson, né i comuni cittadini, né gli uomini di governo, né le potenze straniere capirono veramente cosa stesse accadendo. Così, l’incomprensione e lo smarrimento di qualsiasi certezza finirono con l’allentare ogni vincolo morale e la vita quotidiana si trasformò in una lotta ferina per la sopravvivenza.
Per questo, il ricordo del trauma del 1923, in cui nell’arco di pochi mesi furono inghiottiti patrimoni immensi, divenne indelebile. Dinanzi all’eventualità che una simile situazione si potesse ripetere, al principio degli anni Trenta, molti tedeschi non ebbero allora troppi dubbi. E preferirono scambiare la libertà di una fragile democrazia con le illusorie promesse del nazismo.
(da "Avvenire", 1 ottobre 2011)
Adam Fergusson, Quando la moneta muore. Le conseguenze sociali dell’iperinflazione nella Repubblica di Weimar, Neri Pozza, pp. 315, euro 20.00. Introduzione di Loretta Napoleoni.
1742 stampatrici di moneta 300 cartiere che producevano carta ma chi ha dato l' ordine di stampare?? non leggo le solite storielle mistificatrici sulla iper infkazione tedesca del 1923 i libri in commercio non spiegano nulla
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