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sabato 25 giugno 2011

La scienza del globale. Il "Paradigma geopolitico" di Emidio Diodato



di Damiano Palano

Negli ultimi decenni, la rinnovata attenzione per la geopolitica non è sempre stata accompagnata dal necessario rigore analitico e metodologico. All’ampia diffusione del termine (soprattutto nel lessico giornalistico), non corrispondono infatti né una chiara definizione di cosa sia effettivamente la «geopolitica», né una nitida e condivisa visione delle connessioni fra la politica e la dimensione geografica. Il volume di Diodato tenta proprio di rispondere a un’esigenza di chiarificazione che, da un lato, metta ordine in un dibattito vasto ma spesso disorganico, e, dall’altro, individui gli elementi di un vero e proprio «paradigma geopolitico». «L’obiettivo del libro», scrive infatti Diodato, «è delineare un paradigma geopolitico per poter giungere – mediante una prospettiva politologica – alla descrizione di uno scenario plausibile delle relazioni internazionali contemporanee, in virtù della capacità dei principali centri di potere (o poli) di garantire un equilibrio legittimo e un concreto ordinamento politico del globo terrestre» (p. 10).
Al centro del primo capitolo è proprio il problema della definizione della geopolitica, e, a questo proposito, Diodato non può che confrontarsi con i molteplici – e spesso ambigui – utilizzi del termine. Rifiutando alcune proposte che ritiene eccessivamente riduttive (come quella avanzata da Yves Lacoste), avanza una definizione secondo cui la geopolitica si qualifica come «scienza del globale» e coincide con «lo studio delle relazioni internazionali in una prospettiva spaziale o geografica in quanto volto alla comprensione del mondo come un tutto e alle condizioni di un concreto ordinamento politico del globo terreste» (p. 21). All’origine, la riflessione geopolitica prende forma infatti con l’obiettivo preciso di «analizzare le possibilità di un concreto ordinamento post-eurocentrico del globo terrestre» (p. 14), ma il cruciale riferimento alla dimensione globale non viene mai meno, e continua così a caratterizzare il paradigma geopolitico nel corso del suo sviluppo.
Il secondo capitolo cerca invece di valutare se sia oggi possibile parlare di un «equilibrio geopolitico». Ponendosi questo interrogativo, l’a. riconsidera problematicamente la nozione di equilibrio, concettualmente distinta da quella di bilanciamento, e sostiene che il moderno concetto di equilibrio è strettamente legato tanto al principio di sovranità territoriale quanto al modello vestfaliano. In sostanza, secondo Diodato, con il principio della sovranità territoriale viene introdotto un inedito ed eccezionale elemento di «artificialità»: un elemento che, in particolare, consente di «individuare uno standard o una misura capace di garantire in Europa occidentale un efficace funzionamento della bilancia, poiché territori con pesi differenti, ma tutti ugualmente separati dal resto del mondo (da qui il loro peculiare isomorfismo) furono posti sullo stesso piano» (p. 77). La crisi dell’equilibrio vestfaliano non può dunque che scaturire dal tramonto dello jus publicum europaeum, anche se, secondo Diodato, l’equilibrio inizia storicamente a mostrare segnali di disgregazione già in corrispondenza con le guerre napoleoniche. Il punto rilevante è però che, oggi, l’unico modo per ripensare realisticamente la nozione di equilibrio consiste nell’abbandonare il riferimento al principio di territorialità (come dimensione concettuale, oltre che come presupposto di legittimità) e nel focalizzarsi invece sulle condizioni di stabilità fra centri di potere. «Nell’età globale», osserva infatti, «un equilibrio legittimo potrebbe scaturire soltanto dal reciproco riconoscimento tra centri di potere della loro effettiva capacità e quindi del diritto a governare – entro i propri grandi spazi – i problemi dello sviluppo e della sostenibilità ambientale» (p. 103).
La medesima prospettiva indirizza anche il terzo capitolo, in cui Diodato si confronta con i contributi della geopolitica ‘classica’ di Haushofer, Kjellen, Mackinder, Mahan, Ratzel, oltre che con la riflessione più recente, che si distanzia criticamente dalle visioni deterministe della geografia. Intuizioni fondamentali, che anticipano la traiettoria imboccata dal dibattito geopolitico contemporaneo, possono essere però rintracciate nella riflessione internazionalistica di Carl Schmitt. Il riferimento ai «grandi spazi» costituisce d’altronde un’esplicita ripresa del pensiero del giuspubblicista tedesco, e così, nel quarto capitolo, mentre cerca di articolare uno «scenario plausibile delle relazioni internazionali contemporanee», Diodato utilizza proprio la nozione schmittiana di Großraum, seppur sensibilmente rivisitata.
In linea generale, l’a. individua tre grandi parametri per costruire alcuni scenari geopolitici: a) il parametro geoculturale, secondo cui «la polarità internazionale è il prodotto congiunto della potenza degli Stati e della costruzione di identità politiche sovranazionali» (p. 174); b) il parametro geostrategico, che assegna una priorità alla gestione strategica di aree ricche di risorse ernergetiche, oltre che allo sfruttamento strategico dello spazio aereo ed extra-atmosferico; c) il parametro geoeconomico, relativo alla ridefinizione dei centri propulsivi dell’economia globale (e dei rapporti fra centro e periferie). Ma è soprattutto verso una riformulazione dell’ipotesi dei «grandi spazi» – intesi come grandi poli regionali – che si indirizzano gli sforzi di Diodato. La prospettiva dei grandi spazi, secondo l’a., è in grado infatti di ridefinire le condizioni per pensare l’ordine nel sistema internazionale, nella misura in cui consente di concepire la polarizzazione del sistema come effetto, da un lato, di una determinata distribuzione del potere materiale e sociale, e, dall’altro, del riconoscimento sociale come fondamento di legittimità. Più specificamente, Diodato propone l’idea di una polarità complessa, all’interno della quale i poli regionali sono contenuti in poli globali, capaci di ridurre la complessità del sistema. Si tratta di un’ipotesi focalizzata su tre dimensioni complementari: i) la metropoli-mondo, che rappresenta lo spazio economico globale e vede al proprio interno una stratificazione di centri e periferie; ii) la polarità globale, centrata sugli Usa e, in via ancora solo tendenziale, sulla Cina; iii) la polarità regionale, che prevede che alcuni paesi (per esempio, il Brasile) possano conquistare un ruolo di polo regionale, non in competizione con il polo globale statunitense. Ma quest’ultima eventualità coinvolge la stessa Unione Europea, perché Diodato, nelle pagine conclusive, evoca anche la possibilità che l’Europa assuma i contorni di un «grande spazio euro-mediterraneo» – in grado di coniugare «egemonia politica sovranazionale, razionalizzazione amministrativa e partecipazione democratica» – oltre che, soprattutto, la funzione di «terzo equilibratore» (p. 262).
Al di là delle ipotesi formulate – in modo peraltro estremamente cauto – da Diodato, il merito del suo testo sta, senza dubbio, nella capacità di tornare a riflettere sulla costruzione di un «paradigma geopolitico» e di accogliere le sollecitazioni provenienti da quella riflessione critica sullo spazio che, almeno a partire dagli anni Settanta, ha coinvolto le scienze sociali. Un ulteriore motivo di interesse del volume è inoltre costituito dal tentativo di abbandonare l’idea che le logiche geopolitiche debbano essere intese come contraddittorie, o contrastanti, con quelle sottese ai processi di globalizzazione, e dunque con la complessa realtà della metropoli-mondo. E proprio per questi motivi, è facile prevedere che molte delle categorie utilizzate da Diodato siano destinate ad accompagnare nel prossimo futuro la discussione sulle trasformazioni del sistema internazionale.

Emidio Diodato, Il paradigma geopolitico. Le relazioni internazionali nell’età globale, Meltemi, Roma, 2010, pp. 287, euro 22.00.

(Questo testo è apparso, in una versione differente, sulla "Rivista Italiana di Scienza Politica", n. 1, 2011)


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