di Damiano Palano
È difficile sopravvalutare il ruolo che Hans J. Morgenthau ebbe nell’avviare il dibattito statunitense sullo studio scientifico della politica internazionale all’indomani della seconda guerra mondiale. I testi del grande studioso di origine tedesca ebbero infatti un impatto dirompente sulla discussione americana, delineando i contorni principali della prospettiva «realista». Proprio il fatto che a Morgenthau sia stata attribuita la paternità del «realismo» internazionalistico ha però spesso indotto a una lettura schematica della sua riflessione. Una lettura che ha enfatizzato l’immagine di un «crociato del realismo» (secondo l’espressione di Raymond Aron) e che ha spinto a trascurare altri aspetti del suo pensiero, relativi soprattutto ai limiti della conoscenza sociale e ai rapporti fra etica e politica. Il volume di Zambernardi si propone invece di restituire un ritratto più fedele – e sicuramente più articolato – dello studioso tedesco. Naturalmente, l’obiettivo dell’a. non è quello di fornire una presentazione esaustiva di un itinerario intellettuale estremamente complesso, ma consiste piuttosto nel mostrare la sostanziale unitarietà del percorso di Morgenthau, nella convinzione che la riflessione sulla filosofia delle scienze sociali e le tesi sulla relazione fra etica e politica siano in realtà componenti inscindibili dalla teoria della politica internazionale.
Nella prima parte del volume, dedicata alla riflessione sulle scienze sociali, l’a. ripercorre le tappe principali della formazione di Morgenthau, con l’obiettivo principale di evidenziare come il nucleo centrale del suo pensiero prenda forma già negli anni di Weimar, nel confronto con le proposte di Max Weber e Carl Schmitt. Nel momento del suo trasferimento negli Stati Uniti, Morgenthau si trova in un contesto scientifico ovviamente molto diverso, in cui l’importanza della ricerca applicata e dei metodi quantitativi viene energicamente sostenuta dalla «rivoluzione comportamentista». La polemica dello studioso tedesco contro il comportamentismo è fissata nelle celebri pagine di Scientific Man vs. Power Politics, in cui – come mostra Zambernardi – si possono ritrovare i motivi della riflessione precedente di Morgenthau e, soprattutto, il nodo cruciale della critica del razionalismo. Una critica centrata non soltanto sulla consapevolezza della complessità dei fenomeni umani, che rende lo studio della politica irriducibilmente diverso da quello delle scienze della natura, ma anche sulla convinzione che non esista un unico modello di scienza. Come nota Zambernardi, la posizione di Morgenthau non è di per sé del tutto originale, perché molte delle sue considerazioni si trovano anticipate nel vecchio Methodenstreit di fine Ottocento, oltre che negli scritti weberiani sul metodo delle scienze storico-sociali. Ciò nondimeno, le osservazioni di Scientific Man vs. Power Politics non hanno perso, neppure oggi, la loro importanza, come mostra l’a. con due stimolanti excursus dedicati, rispettivamente, alla discussione critica del neo-realismo di Kenneth Waltz e al recente dibattito sui metodi della scienza politica, innescato negli Stati Uniti dal ‘movimento di protesta’ della Perestroika.
Nella seconda parte del volume, centrata sul rapporto fra etica e politica, viene ricostruito il ruolo che la dimensione morale occupa nel realismo di Morgenthau. Sotto questo profilo, il teorico tedesco è infatti notevolmente lontano dal ‘relativismo etico’ di Edward H. Carr, soprattutto perché sembra avere una concezione antropologica pluralista, che considera l’essere umano come una creatura composita, in cui convivono, accanto alla brama di potere, esigenze spirituali e razionali. Nell’ultima parte del testo, centrata sulla politica estera, vengono infine ricostruiti i punti salienti della riflessione condotta dall’autore di Politics among Nations, fra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, sulla definizione dell’interesse nazionale, sulla strategia nucleare americana, sulla guerra del Vietnam. E anche in questo campo la severa critica del razionalismo sembra costituire lo stabile presupposto della riabilitazione dell’«arte politica» (e degli strumenti tradizionali della politica estera) compiuta da Morgenthau.
Non è certo fortuito che Zambernardi, nella conclusione del suo studio, richiami un ammonimento di Herbert Butterfield, per il quale i grandi storici devono essere liberati dalle gabbie in cui sono stati imprigionati dai loro successori. È infatti proprio questo l’obiettivo che l’a. si pone nelle sue pagine, quando tenta di liberare la figura intellettuale di Morgenthau e il suo lascito teorico dalle gabbie delle interpretazioni – talvolta polemiche, spesso riduttive – affastellatesi nel corso di più di mezzo secolo. L’immagine di Morgenthau restituita dal libro di Zambernardi – cui certo va riconosciuto il merito di combinare la ricchezza analitica con la meditata sintesi teorica – non è priva di elementi problematici, oltre che, in qualche caso, persino di qualche tratto di ambiguità. Ma l’aspetto forse più importante della riflessione di Morgenthau – su cui non casualmente l’a. concentra gran parte della propria attenzione – è costituito dalla critica del razionalismo. Una critica che, dinanzi al profilarsi di nuove discussioni sul pluralismo metodologico delle scienze sociali, acquista un significato diverso rispetto al passato. E che, nell’approssimarsi della nuova (ancora indefinita) «era post-americana», torna anche a riproporre, ancora una volta, le vecchie domande sui limiti della potenza e sul rapporto, inevitabilmente problematico, fra etica e politica.
Damiano Palano
Lorenzo Zambernardi, I limiti della potenza. Etica e politica nella teoria internazionale di Hans J. Morgenthau, Il Mulino, Bologna, 2010, pp. 244.
(Una versione parzialmente differente di questo testo è apparsa sulla "Rivista Italiana di Scienza Politica", n. 3, 2010).
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