Recensione di Matilde Adduci – Michela Cerimele (a cura di), Socialist Register Italia. Antologia 2001-2008, Punto Rosso, Milano, 2009, pp. 358.
Nella storia della riflessione radicale, il Socialist Register occupa senza dubbio un posto importante. Fondato nel 1964 da Ralph Miliband e John Savile, il Socialist Register può essere infatti considerato una sorta di annuario del pensiero critico, che ospita contributi di analisi del presente con una molteplicità di chiavi di lettura, la cui gamma è andata arricchendosi sempre più nel corso degli anni. Il volume curato da Adduci e Cerimele propone una selezione ragionata dei contributi apparsi negli ultimi anni (2001-2008), ma intende anche costituire il primo episodio di un progetto di più ampio respiro, che dovrebbe dar vita a un’edizione italiana del Register. D’altronde, benché sia nato all’interno dell’esperienza della New Left britannica, il Register – come notano nella Prefazione all’edizione italiana Leo Panitch e Colin Leys – ha sempre guardato con attenzione alla dimensione internazionale del dibattito e, soprattutto negli ultimi due decenni, ha iniziato a rivolgersi in modo sistematico proprio al pubblico straniero. Così, oltre all’edizione inglese, hanno fatto la loro comparsa, a poco a poco, edizioni pubblicate in Turchia, Grecia, India, Canada, Stati Uniti e America Latina. Ma negli anni trascorsi dalla fondazione, lungo un periodo che si avvicina ormai al mezzo secolo di vita, la rivista ha iniziato anche a rivolgersi in modo prevalente – se non esclusivo – proprio ai temi internazionali, sia esaminando le tendenze dell’economia globale, sia prendendo in considerazione le caratteristiche del «nuovo ordine mondiale».
È anche per questo che i contributi accolti nell’Antologia sono stati selezionati privilegiando lo sguardo dell’economia politica critica, ma cercando anche di dare un’idea della complessità e della varietà delle posizioni presenti nel Register.
I contributi presentati possono essere ricondotti a due principali linee tematiche. Un primo gruppo di saggi affronta la questione dell’«Impero» americano, delle sue fragilità e delle sue modalità operative, con lavori di Amy Bartholomew e Jennifer Breakspear (I diritti umani come spade dell’Impero), di Patrick Bond (L’Impero americano e il subimperialismo sudafricano), di Paul Cammack («Segni dei tempi»: capitalismo, competitività, e il nuovo volto dell’Impero in America Latina), di John Grahl (Il potere di Unione europea e Stati Uniti a confronto), di Leo Panitch e Sam Gindin (La finanza e l’Impero americano), e di Colin Leys (Lo Stato cinico), che però allarga lo sguardo, più in generale, alle trasformazioni politiche. Un secondo nodo tematico, affrontato da Gregory Albo (I limiti dell’ecolocalismo: scala, strategia, socialismo) e da Neil Smith (La natura come strategia di accumulazione del capitale) è quello della critica all’ecologismo, o, quantomeno, ad alcuni miti del pensiero ecologista che vengono inglobati nelle strategie di accumulazione. Un po’ estranei a questi due nuclei tematici (ma non per questo meno ricchi di sollecitazioni) sono invece i testi che aprono e chiudono l’antologia. Il primo saggio, di Ursula Huws (La nascita del cibertariato? Il lavoro virtuale in un mondo reale), propone infatti una chiave di lettura piuttosto critica sulle trasformazioni del mondo del lavoro, rifiutando molte semplificazione e molti entusiasmi che, soprattutto negli anni Novanta, avevano trovato ovunque convinti sostenitori. L’ultimo contributo, infine, sposta l’attenzione verso il versante specificamente politico, affrontando il tema Il neoliberismo e la sinistra con brevi interventi di Alfredo Saad-Filho, Elmar Altvater e Gregory Albo.
Alcuni elementi della peculiarità del percorso sviluppato dal Socialist Register e dei motivi che spiegano anche l’interesse di un’edizione italiana sono in parte chiariti, nella ricca Introduzione all’antologia, dalle curatrici, Adduci e Cerimele. In un quadro segnato, sempre più a partire dagli anni Ottanta, dalla fortuna del «postmodernismo» e, più in generale, dalla «svolta culturale» che ha investito le scienze sociali, il pensiero radicale non si è solamente allontanato dai vari filoni ‘neo-marxisti’ fioriti negli anni Sessanta e Settanta, ma si è in generale discostato da qualsiasi analisi volta a esplorare i ‘fattori materiali’ delle relazioni di potere, sia a livello economico, sia a livello delle relazioni politiche internazionali. Proprio mentre in questo contesto intellettuale i fattori ‘materiali’ passavano in secondo piano (o venivano addirittura del tutto oscurati), e mentre venivano privilegiate le dinamiche culturali e identitarie, il Socialist Register ha invece puntato con forza sulle componenti ‘materiali’ dei processi di trasformazione del capitalismo e di modificazione del contesto politico internazionale, impegnandosi peraltro in una tenace critica delle rappresentazioni proposte dai filoni dominanti delle scienze economiche. In qualche modo, l’inizio del XXI secolo ha segnato, anche da questo punto di vista, un passaggio di fase, se non proprio una cesura, perché varie componenti della riflessione radicale hanno cominciato a riproporre la necessità di un’analisi critica delle trasformazioni contemporanee. È proprio la convinzione di proseguire su questa strada che sostiene il progetto di un’edizione italiana del Socialist Register, articolando una critica del presente, ma senza rinunciare a radici teoriche e politiche più profonde. «La direzione cui guardiamo è quella di chi ha continuato a costruire su tali radici», scrivono le due curatrici, ma sempre «con il coraggio dell’autocritica, tenendo così vivo l’orizzonte della libertà umana intesa nel suo senso più pieno» (p. 31). Anche sulla scorta di una simile convinzione, l’edizione italiana del Socialist Register, arricchendo il dibattito, può forse contribuire a risolvere una delle questioni oggi più intricate. Ossia la questione che ci impone di elaborare mediazioni convincenti proprio fra il livello ‘culturale’ delle rappresentazioni (e delle identità) e il livello ‘materiale’ dei rapporti di potere (e dei conflitti). E, dunque, di superare la «svolta culturale», e i suoi eccessi, senza rinunciare alle sue molte, preziose, sollecitazioni.
Damiano Palano