«Un pensare estremo e un agire accorto»
«Un pensare estremo e un agire accorto». Con questa formula, Mario Tronti sintetizza oggi la cifra che ha caratterizzato – e continua a caratterizzare – il suo percorso intellettuale. Nella conversazione con Pasquale Serra che introduce il volume, Tronti chiarisce come questa polarità (all’apparenza incomponibile) abbia costantemente guidato la sua riflessione e il suo confronto con il classici. «Il pensare estremo», osserva Tronti, «l’ho imparato da Marx», ma «anche da tutte quelle forme di pensiero incomponibili con lo stato presente, inassorbibili dall’opinione corrente, irriducibili al senso comune di massa, alternative al buon senso intellettuale». All’opposto, «l’agire accorto l’ho imparato da Machiavelli, l’ho inseguito nei teorici della ragion di Stato, poi alla scuola dei Gesuiti, specialmente spagnoli, quindi nella forma politica del cattolicesimo romano, l’ho ritrovato in Max Weber e in Carl Schmitt, l’ho studiato e ristudiato e dunque approfondito in Lenin, non nei suoi libri di scarso spessore teorico, ma nelle sue geniali e magistrali mosse tattiche» (p. 16). Non è difficile scorgere, nelle diverse tappe del pensiero di Tronti, un movimento costante fra queste due polarità, a partire dalla lettura radicale del pensiero di Marx condotta negli anni Sessanta, alla scoperta dell’«autonomia del politico», al confronto con le «regolarità» della politica. E non è neppure difficile ritrovare anche oggi, nella riflessione contemporanea di Tronti, la ricerca di una mediazione fra questi poli in apparenza opposti.
In questo volume, curato da Serra, sono raccolti una serie di scritti e di discorsi (prevalentemente dell’ultimo decennio), in cui Tronti si confronta con la ‘crisi’ della politica e con il rapporto fra politica e cultura nel nuovo passaggio storico. In questi interventi, si ritrovano alcuni dei punti fermi sviluppati da Tronti in La politica al tramonto e nei suoi lavori successivi. Ma, soprattutto, trapela evidente il pessimismo con cui viene considerata la dinamica della ‘Seconda Repubblica’, una deriva che coinvolge – secondo l’autore di Operai e capitale – l’intero quadro politico e soprattutto ciò che rimane del movimento operaio organizzato. In questo senso, Tronti riprende
l’idea che la vittoria della democrazia liberale abbia sancito, in qualche misura, una sconfitta della politica, della «grande politica», intesa come conflitto ma anche come mediazione fra i grandi soggetti del Novecento. «La novità del nostro tempo», per Tronti, è la trasformazione dell’individuo moderno in «individuo-massa». «La spoliticizzazione di questa figura, che la fine del Novecento ci ha consegnato, è stato un passaggio distruttivo per la nostra parte e restaurativo per la parte avversa». Nel passaggio degli anni Ottanta, «si è assunto il concetto di individuo nel momento in cui l’individuo non c’era più, era diventato un soggetto-massa, manipolato dall’alto e dal suo interno»; «si è assunta l’idea di cittadino sovrano, nel momento in cui crollava la sovranità della decisione politica» (p. 81). Completando la figura dell’homo oeconomicus, l’homo democraticus descrive efficacemente, secondo Tronti, la «figura nostra contemporanea del cittadino-massa, la moltitudine che partecipa al rito delle primarie, credendo di contare, ma in realtà essendo solo contata» (p. 103).
Dinanzi a questo scenario, Tronti non rinuncia però al tentativo di tenere insieme i due poli del «pensare estremo» e dell’«agire accorto». E il punto da cui torna a partire è, ancora una volta, ma diversamente dagli anni Sessanta e Settanta, la «centralità del lavoro». L’eredità che pensa sia necessario raccogliere è quella di una «centralità del lavoro, oltre i confini della fabbrica moderna, declinando l’attività lavorativa a tutti i livelli, materiali e intellettuali, in cui essa si svolge nella struttura presente della produzione di profitto» (p. 29). Ma, anche in questo caso, è una centralità da rilevare non solo sociologicamente, bensì nel suo significato politico: «è un’opzione soggettiva che legge, e fa leggere, la diffusione e la frantumazione, la dispersione, la precarizzazione, la stessa disoccupazione, come un interesse unico» (p. 29). E così – in termini certo diversi da quelli del Tronti degli anni Sessanta – ritiene dunque necessaria l’esistenza di una forza organizzata capace di prendersi carico del compito politico di rappresentare i lavoratori. Prima ancora di un problema organizzativo, si tratta – secondo Tronti – di un problema culturale, un problema che non può essere affrontato ricercando una presunta neutralità rispetto alle parti, ma solo prendendo parte esplicitamente. «Il problema», scrive per esempio, «non è di stare al di sopra delle parti, il problema è di stare da una parte in un certo modo» (p. 53). Ciò cui pensa Tronti è dunque, soprattutto, una «cultura politica critica», una cultura che si declini come «critica di ciò che è, di ciò che avviene, di ciò che diviene», non soltanto attraverso l’elaborazione di strategie di governo, ma anche mediante l’elaborazione di una visione di futuro: «governo è anche visione d’insieme, immaginazione creatrice, possesso intellettuale delle relazioni tra cose, e insieme gestione di movimenti dei soggetti, rappresentazione di bisogni delle persone in società, e poi e per questo, è produzione di futuro, e di futuro altro, alternativo» (p. 67). Per questo, l’indicazione che Tronti fornisce è, in fondo, la medesima che ha guidato la sua ricerca durante più di mezzo secolo. «Un pensare estremo e un agire accorto». «A me piace pensare per estremi. Pensare per estremi è l’unico modo per produrre scoperta teorica. Pensiero forte in una realtà dura. Altra cosa, altro piano è l’agire. L’errore è agire conseguentemente per estremi» (p. 64). Due tonalità che «non coincidono», perché, «se il pensare estremo produce una pratica settaria, si producono azioni limitate, inefficaci, a volte controproducenti», mentre, «se l’agire accorto si accompagna a idee moderate, si rimane subalterni alla realtà, si cambia tutto per non cambiare niente, e non si fa storia viva ma grigia cronaca» (p. 96). In altre parole, come scrive Tronti rovesciando la formula weberiana: «tentare il possibile per raggiungere l’impossibile» (p. 96)
Damiano Palano
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