domenica 27 marzo 2011

La vocazione nichilista del capitalismo postmoderno. Intorno a un libro di Mauro Magatti

di Damiano Palano

Recensione a Mauro Magatti, Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli, Milano, 2009, pp. 416.

Riportando al centro della discussione il nodo del capitalismo e delle sue trasformazioni, il testo di Magatti tenta di svolgere una riflessione sui processi economici, politici, culturali, che hanno investito le società occidentali nell’ultimo trentennio. Non si tratta, però, di un lavoro che punta semplicemente a ‘descrivere’ le dinamiche sociali, perché l’obiettivo di fondo – alla base un’impalcatura teorica complessa – è soprattutto fornire un’interpretazione di questi anni e, in particolare, dell’affermazione (almeno apparente) della «libertà», come principio di organizzazione sociale e di legittimazione politica. Consapevolmente ambiziosa, l’operazione compiuta da Magatti trova un sostegno forte nelle vecchie ricerche weberiane sul capitalismo, inteso dunque non tanto come una formazione economica, quanto come un fenomeno che ha alla base una determinata sensibilità, delle ben precise radici spirituali, un particolare immaginario. Ma, muovendo da una simile impostazione, il lavoro si confronta anche con alcune delle proposte più importanti del dibattito critico degli ultimi decenni, come, per esempio, la sociologia di Zygmunt Bauman, le ipotesi di Luc Boltanski, la riflessione di René Girard e le provocazioni di Slavoj Žižek. E il quadro che fa emergere – pur nella sua estrema complessità – riesce senz’altro a cogliere alcuni tratti della trasformazione contemporanea.
Il punto di partenza del discorso di Magatti consiste nell’idea che «non si può comprendere la fase storica nella quale viviamo prescindendo dal mutamento intervenuto nel processo di significazione», un mutamento «che diffonde in quote sempre più ampie della popolazione la convinzione che, deposta ogni pretesa collettiva, l’idea di ‘verità’ attenga unicamente al piano esistenziale e soggettivo» (p. 17). Con la crisi della metafisica, il processo di secolarizzazione e lo sviluppo della scienza, l’idea di verità viene radicalmente ristrutturata, e ciascun individuo è posto nelle condizioni di «avanzare le proprie ‘pretese di verità’». Per esplicitare la portata di questo mutamento, Magatti ricorre alla distinzione formulata da Cornelius Castoriadis fra legein e teukein, intese come le due forme fondamentali del processo di significazione. Mentre il legein indica l’attività del raccogliere, con cui il pensiero e la parola mettono ordine nel caos della vita umana, il teukein corrisponde all’attività che attiene alla realizzazione di utensili, al loro utilizzo (e , dunque, alla dimensione della tecnica). Proprio il teukein, la tecnica, è destinato a produrre sulla società un duplice effetto: innanzitutto, istituzionalizza i significati espressione del livello raggiunto dal potere di agire; in secondo luogo, moltiplicando la capacità di azione umana, indebolisce i significati consolidati. «Legein e teukein», scrive Magatti, «sembrano, dunque, seguire due destini opposti: la crescente disponibilità di discorsi e l’espansione degli spazi dell’interpretazione soggettiva rendono sempre più difficile la condivisione intersoggettiva – e con essa l’istituzionalizzazione – di significati; d’altra parte, lo straordinario sviluppo delle applicazioni tecniche stabilizza strutture e linguaggi che non solo rendono possibili rapporti tra estranei, ma generano anche una ‘verità’ basata sulla forza dei fatti, disattivando il processo di significazione basato sul legein» (p. 25). Per quanto l’individuo contemporaneo, grazie al teukein accresca il proprio potere di azione, «dispone sempre meno di narrazioni collettive di senso – generate mediante il legein – preferendo affidare al singolo essere umano, nell’intimo della propria coscienza, il compito di realizzare tale scopo» (p. 25). In altre parole, in assenza della significazione costruita dal legein, la soluzione al problema del potere viene assegnata alla ‘libertà individuale’. In particolare, il mutamento del rapporto fra legein  e teukein incide su tre polarità della vita sociale: a) la polarità individuo-collettività, con lo spostamento verso il polo individuale; b) la polarità logos-pathos, nella quale, a seguito dell’indebolimento del logos, risulta sempre più rilevante la dimensione del pathos (attinente cioè all’affettività); c) la polarità fra trascendente e immanente, che, in seguito all’esaurimento progressivo del legein, conduce all’affermazione «di una visione radicalmente immanente, che fa dell’innovazione tecnica il motore di un divenire non solo senza finalità ma anche esente da qualunque possibilità di critica» (p. 27). È dalla congiunzione di queste tendenze che prende forma ciò che Magatti definisce come «capitalismo tecno-nichilista» (CTN), uno «stadio che si afferma nel momento in cui entrano in crisi gli assetti istituzionali, sociali e culturali costruiti nel secondo dopoguerra» (p. 42). Il CTN non è, per Magatti, tanto una realtà definita da trasformazioni materiali, quanto un «immaginario», «una creazione sociale-storica e psichica di figure/forme/immagini, a partire da cui si può parlare di ‘qualche cosa’ nel mondo sociale». Come scrive, dunque, un immaginario «non è semplicemente una teoria – anche se spesso traduce intuizioni teoriche – ma prima di tutto un modo di vivere e di leggere la realtà, i rapporti con le altre persone, il proprio posto nel mondo» (p. 42). Sulla base di questa definizione, il CTN è, allora, «una logica di strutturazione dei rapporti sociali che ha contribuito a plasmare l’intera configurazione storico-sociale sviluppatasi all’interno dei paesi occidentali negli ultimi tre decenni sulla base di un nuovo immaginario della libertà formatosi tra gli anni sessanta e gli anni ottanta» (p. 43). L’obiettivo di Magatti è proprio quello di descrivere questo immaginario, nella sua genesi, nei suoi caratteri costitutivi, nelle sue traiettorie di sviluppo (più o meno prevedibili).
Nella lettura di Magatti, il CTN emerge dopo la crisi del «capitalismo societario» (CS) consolidatosi dopo il Secondo conflitto mondiale. Da questo punto di vista, il CTN scaturisce da un’accelerazione ulteriore del processo di razionalizzazione attraverso quattro dinamiche: a) estensione dell’economia di mercato; b) autonomia tecnica dei sotto-sistemi; c) estensione della tecnica oltre la dimensione della fabbrica e diffusione dei modelli occidentali nel resto del mondo; d) progressiva reificazione dell’essere umano (sul piano biologico, mentale, relazionale, affettivo). In sostanza, il CTN nasce alla fine degli anni Settanta, in corrispondenza con la svolta neoliberista, per effetto di una trasformazione che implica un’estensione globale dei mercati e l’immissione nel ciclo della valorizzazione capitalistica della dimensione immateriale. Uno degli elementi di maggiore discontinuità del CTN rispetto al CS è, dunque, «la separazione tra funzioni e significati», con uno spostamento verso la libertà di scopo: «Nell’assenza di quadri di riferimento stabili e comuni, il divenire è la logica che tiene insieme l’aumento indiscriminato della libertà di scopo. Ciò significa che il passaggio storico che stiamo attraversando segna l’abbandono, forse definitivo, della situazione classica – nella quale i mezzi erano scarsi e i fini definiti – in favore di una nuova configurazione nella quale i mezzi sono abbondanti e i fini indeterminati. L’idea di libertà che si afferma consiste nell’accrescere la possibilità individuale di determinare gli obiettivi dell’azione, mentre aumenta l’intolleranza nei confronti di tutto ciò che ha la pretesa (avvertita comunque come arbitraria) di porre qualche limite all’autodeterminazione (fosse anche un fine collettivo)» (p. 98). Lo sganciamento di qualsiasi progetto collettivo è una conseguenza pressoché inevitabile dell’ascesa della libertà di autodeterminazione.
L’idea principale di Magatti è soprattutto che, nel nuovo ciclo di accumulazione, il nichilismo può diventare la Weltanschauung dominante, stringendo «un’alleanza con la tecnica e con il capitalismo». Il CTN può infatti perseguire l’obiettivo di una crescita illimitata e di una costante razionalizzazione della sociale e individuale solo se ogni significato diventa volatile: «per potersi sostenere, una realtà imbevuta di nichilismo – che, come tale, perde continuamente di valore – deve essere assoggettata a una logica di cambiamento continuo, in modo tale da garantire, senza alcun intervallo, il ‘cambiamento di scena’. In un mondo nel quale i significati sono altamente volatili, solo a questa condizione è possibile riprodurre – seppure provvisoriamente – la certezza di quella realtà nella quale noi conduciamo la nostra vita quotidiana, anche se ciò non cancella la consapevolezza che non c’è nulla di duraturo, nulla per cui valga davvero la pena di vivere» (p. 106). I grandi processi su cui Magatti attira l’attenzione – e soprattutto le diverse modalità di frammentazione che investono la vita sociale, ma anche la dimensione individuale – possono essere interpretati proprio come effetti del CTN. E, in questo senso, Magatti riserva una notevole attenzione alla «crisi del legame sociale» (pp. 276-312), da cui scaturiscono anche la paura sociale e la richiesta di politiche securitarie. Ma, ovviamente, il CTN produce effetti sul terreno politico: da questo punto di vista, Magatti considera la vittoria della democrazia liberale come un aspetto del CTN, ma, nella perdita di significati collettivi, anche la democrazia (e la legittimazione) si trasformano sostanzialmente. «Lo stato democratico», scrive Magatti, «non ha più la capacità di comporre un punto di vista autorevole, ma è sostanzialmente prigioniero dell’obiettivo di ‘sfamare la bestia’ costituita da un’opinione pubblica ridotta alla somma delle istanze individuali» (p. 270). Si registra, dunque, uno schiacciamento sul lato della «legittimazione razionale-tecnica», con implicazioni importanti: «in primo luogo, i centri di potere diventano assai disinvolti nella manipolazione dei significati rispetto ai propri fini», e, «in secondo luogo, l’eccessiva complessità dei sistemi spinge verso la ricerca della semplificazione, che in linea generale si traduce nella crescente personalizzazione delle lotte di potere» (p. 270). In altri termini, mentre cresce la rilevanza della legittimazione tecnica, si accresce il «potere dell’acclamazione», il potere dell’«applauso»: «Il posto occupato nel CS dalla Legge – incarnazione spersonalizzata del Padre – viene preso, nel CTN, dallo sguardo ipnotico del leader che trae profitto dalla logica della spettacolarizzazione prevalente nello SED. Mai come oggi, l’opinione pubblica è il contenitore dove si produce la forma moderna dell’acclamazione. Venendo meno il fondamento su cui si basava nel passato, il potere contemporaneo ha bisogno dell’efficacia dell’acclamazione, moltiplicata e disseminata dai media al punto che il luogo dell’acclamazione [...] costituisce esso stesso un luogo fondativo del potere» (p. 271). A un simile processo, si affianca (in modo complementare) la dissoluzione dei ruoli sociali del CS, secondo una dinamica in virtù della quale il bios viene inglobato nelle relazioni di potere: «quote sempre maggiori della vita sociale e umana ‘sono messe in produzione’. Rispetto al passato, una tale relazione non tocca più solo le fabbriche, ma investe anche le città, gli ospedali, le scuole. A essere inclusa nella logica della produzione non è più solo la forza fisica del lavoratore, ma anche l’intelligenza dei ricercatori, il desiderio dei consumatori, il bios dei cittadini (o almeno una parte di questi). A essere coinvolti non sono più solo gli operai, ma anche i quadri direttivi, i gruppi professionali, i tecnici che – oggetto di quella che abbiamo chiamato etica della mobilità – si dannano per mantenere funzionante l’intero sistema. [...] Laddove la funzione è l’unico significato ammissibile, l’atto del legein è svuotato e l’essere umano è ridotto a ‘funzionario’» (p. 273). Il CTN viene, in questo senso, definito anche come un «regime biopolitico», che richiede addirittura lo «smembramento dell’unità presupposto, come presupposto di una perdita definitiva della possibilità di controllo, giudizio e retroazione» (pp. 344-345).
La libertà su cui si fonda l’immaginario del CTN non può che essere allora una libertà immaginaria: una libertà che non può che essere «immaginaria» proprio perché perseguita nell’assenza di qualsiasi significazione collettiva. «In questa situazione – la libertà, proclamata, rivendicata, desiderata – perde alcune delle condizioni della sua stessa esistenza. Profondamente contraddittoria, essa fa un’enorme fatica a leggere il proprio tempo, e quindi a prendere qualunque posizione, preferendo esprimersi come mero spostamento laterale associato alle proiezioni emozionali» (p. 353). Benché si ritenga «libero di dare alla sua vita il senso che vuole», l’individuo contemporaneo dà – secondo le parole di Castoriadis (evocate da Magatti) – «solo il senso in corso, ovvero il non senso dell’aumento indefinito degli stimoli sensoriali, degli scopi disponibili, della performance». E, dunque, «la sua autonomia diventa eteronomia, la sua autenticità mero adattamento», perché «non può esserci autonomia collettiva, né creazione di senso per un individuo che non si iscrive nel quadro di una creazione collettiva di significati» (p. 353).
Nell’articolata costruzione di Magatti, è possibile ipotizzare i punti cui potrebbero ancorarsi i più scontati rilievi critici. Innanzitutto, tutto il discorso sviluppato nella Libertà immaginaria  è svolto da una prospettiva piuttosto scopertamente euro-centrica, in cui il mondo non-occidentale compare solo per essere avvolto dall’espansione globale del CTN. Inoltre, nell’analisi di Magatti, l’enfasi sul successo del «nuovo ciclo di accumulazione» (pp. 104-105) sembra tralasciare le molte ombre che rendono la crescita economica mondiale degli ultimi trent’anni meno solida di quanto possa apparire dall’esame di alcuni indici. E, infine, la grande coerenza del quadro proposto – una coerenza che rende possibile tenere insieme piani estremamente diversi, relativi alle trasformazioni sociali e politiche, ma anche a fenomeni artistici, culturali, religiosi – pare talvolta sacrificare, proprio all’obiettivo di una grande sintesi teorica, la rilevanza degli elementi critici, ossia delle linee conflittuali, delle faglie, che pure contrassegnano il capitalismo odierno. E, allora, diventa inevitabile che le tracce di un’inversione dell’immaginario contemporaneo della libertà, evocate nelle ultime pagine del volume (pp. 354-398), assumano i contorni di speranze difficilmente percorribili. Ma, forzando su questi punti, non si coglierebbe quello che rimane l’obiettivo dell’indagine di Magatti. Un’indagine centrata - più ancora che sui processi reali – sull’immaginario che dà forma alla nostra percezione della realtà e che indirizza le nostre vite di individui del XXI secolo. È proprio su questo terreno che vanno infatti valutate le proposte di Magatti. E su cui va misurata la sua interpretazione delle trasformazioni che abbiamo vissuto nell’ultimo trentennio.

Damiano Palano


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