Sebbene anche i più scettici siano ormai costretti a prendere atto dell’ascesa della Cina, rimangono comunque ancora in ombra molte delle implicazioni di questa crescita. In primo luogo, è difficile immaginare fino a che punto possano essere sostenuti i costi sociali e ambientali di un simile ritmo di sviluppo. E, in secondo luogo, non è ancora chiaro quali saranno le implicazioni che avrà l’ascesa della Cina sugli equilibri politici in Asia. Non è chiaro, per esempio, se davvero si possa configurare la forte integrazione fra Cina e India evocata dal suggestivo neologismo «Cindia», o se il regime della Corea del Nord potrà contare ancora a lungo sull’appoggio di Pechino. Ma, in questo quadro, è anche piuttosto complicato prevedere in quale direzione evolveranno i rapporti fra Cina e Giappone: due paesi divisi su molte questioni e con alle spalle un conflitto cruento (per nulla dimenticato), ma che hanno anche in comune forti interessi economici.
Negli ultimi anni, alcuni analisti hanno intravisto i contorni di un declino del Giappone, contestuale all’ascesa cinese. In realtà, come mostra Noemi Lanna, nel volume Il Giappone e il nuovo ordine in Asia orientale. L’altra faccia dell’ascesa della Cina (Vita e Pensiero, 2010, pp. 140, euro 15.00), la situazione è molto più complessa. E, in ogni caso, parlare di declino per quanto riguarda il Giappone è del tutto fuorviante, se non altro perché l’economia nipponica rimane una delle più importanti del pianeta. Il nuovo scenario ha però comportato una complessiva ridefinizione della politica estera giapponese, che ha significato innanzitutto un graduale abbandono del principio cardine dell’antimilitarismo postbellico e, in secondo luogo, l’assunzione di posizioni più assertive rispetto al passato.
L’effetto più evidente di questo mutamento è la ‘ri-asiatizzazione’ della politica estera del Giappone, che, dopo il 1945, aveva invece in gran parte consegnato la gestione dei rapporti nella regione agli Usa. Dopo il 1989, la situazione è infatti rapidamente mutata. La crescente integrazione economica nell’area ha offerto nuove opportunità di sviluppo, ma, per il Giappone, ha anche creato nuovi problemi di sicurezza: dai rapporti con la Russia (con cui manca un trattato di pace), alla minaccia costituita dalla Corea del Nord, al futuro delle relazioni con Pechino. Ed è proprio in questo nuovo scenario che Lanna colloca le questioni principali che la leadership nipponica dovrà affrontare nei prossimi anni.
Un primo dilemma riguarda, innanzitutto, la partnership strategica con gli Stati Uniti. Dopo la fine della guerra fredda, è infatti apparso scontato che la garanzia di sicurezza offerta al Giappone si sarebbe indebolita. E così Tokyo ha effettivamente avviato una sorta di ‘normalizzazione’ delle proprie politiche sicurezza, abbandonando il principio dell’antimilitarismo, affermatosi dopo il ’48, e inviando truppe in Afghanistan e in Iraq. Una seconda questione concerne invece le relazioni con la Cina, che per molti decenni sono state caratterizzate dalla combinazione fra un’«economia calda» (e cioè una costante crescita degli scambi commerciali) e una «politica fredda» (contrassegnata dall’assenza di rapporti politici). Rimasta invariata dagli anni Cinquanta, questa linea – prevede Lanna – è probabilmente destinata a essere abbandonata a favore di una cooperazione più istituzionalizzata. E il Giappone si troverà a esprimere posizioni più assertive anche sotto il profilo politico, tornando per esempio a richiedere un seggio permanente all’Onu o a rafforzare l’attivismo diplomatico nel Sud-Est asiatico. Infine, l’ultima serie di problemi riguarda i rapporti con le due Coree, non soltanto per la politica di ‘rischio calcolato’ della Corea del Nord, ma anche per il sentimento anti-nipponico, storicamente forte nella stessa Corea del Sud.
Proprio l’insieme di questioni così intricate ha indotto molti analisti a previsioni pessimiste sul futuro dell’Asia e sul ruolo del Giappone. Questa non è però la conclusione cui giunge Lanna. «Accanto agli innegabili elementi divisione», esiste infatti «un’identità condivisa, fondata su efficaci elementi di aggregazione, che accomuna, in modo particolare, il Giappone, la Cina e la Corea del Sud». E anche se le rivalità aumenteranno nel futuro, l’identità condivisa fra i tre attori principali dell’area potrebbe dunque garantire una crescita della loro cooperazione, anche sotto il profilo politico.
Solo i prossimi anni dimostreranno se Giappone, Cina e Corea del Sud seguiranno effettivamente la strada della collaborazione reciproca. Ma le variabili in campo in un’area tanto complessa come quella asiatica sono davvero molte, a partire dall’evolversi delle relazioni fra Cina e Usa, per finire alle sorti della Corea del Nord. Anche perché – e Lanna lo mette d’altronde bene in luce - la penisola coreana è, sotto il profilo geopolitico, proprio al centro dell’Asia. E un crollo improvviso del regime di Pyongyang renderebbe estremamente instabile tutta l’area, con ripercussioni imprevedibili anche per il Giappone.
Damiano Palano
Noemi Lanna, Il Giappone e il nuovo ordine in Asia orientale. L’altra faccia dell’ascesa della Cina, Vita e Pensiero, 2010, pp. 140, euro 15.00.
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