Negli anni Novanta il tramonto dei vecchi partiti venne salutato da molti come una liberazione dalla «partitocrazia» e dai «professionisti della politica». Gli scandali degli ultimi anni, la lievitazione dei ‘costi della politica’ e la percezione di una corruzione ancora diffusa hanno però in parte smentito quelle attese, suggerendo l’idea che la nuova classe politica abbia, in fondo, gli stessi caratteri della vecchia. Ma è veramente così? Non è davvero cambiato nulla nella composizione interna della classe politica italiana? Il volume del politologo Luca Verzichelli, Vivere di politica. Come (non) cambiano le carriere politiche in Italia, fornisce ora un contributo importante per comprendere cosa effettivamente è mutato nel professionismo politico italiano nel corso della Seconda Repubblica.
Utilizzando un’ampia mole di dati, la ricerca di Verzichelli mostra in effetti come la classe politica emersa dopo il 1992-1994 non sia molto diversa da quella della Prima Repubblica. Confrontando i dati relativi al 1985 (il momento di massima espansione della vecchia ‘partitocrazia’) e quelli odierni, non emergono differenze notevoli per quanto concerne il numero di professionisti della politica, la lunghezza delle loro carriere o l’età anagrafica. Inoltre, per quanto riguarda i criteri di selezione, il cursus honorum all’interno del partito è ancora estremamente importante, e i metodi volti a favorire una maggiore trasparenza nelle scelte (come le primarie) sono stati finora adottati, con qualche eccezione, solo come strumenti per legittimare una leadership già definita.
Ciò nonostante, alcuni elementi di novità, che riducono la rigidità dei modelli di carriera, non possono essere sottovalutati. Innanzitutto, i canali di accesso alla cerchia più ristretta della classe politica sono più ampi rispetto al passato, almeno per quanto concerne personalità che possiedono riconosciute competenze (soprattutto ‘tecnici’ ed esperti di comunicazione) e che, per questo, riescono a ‘scavalcare’ la selezione interna del partito. In secondo luogo, la carriera politica non è più solo unidirezionale, ma anche bidirezionale: in altre parole, la carriera non procede più solo dal basso verso l’alto, perché cariche amministrative importanti a livello locale e regionale offrono a politici già relativamente affermati sul piano nazionale nuove opportunità di visibilità e, dunque, nuove risorse di ascesa. Infine, sembra stia emergendo una vera e propria polarizzazione fra centro-destra e centro-sinistra per quanto riguarda la provenienza occupazionale del personale politico. Non si tratta più di una contrapposizione fra ‘eroi della società civile’ e ‘politici di professione’, ma piuttosto di una differenza significativa nella provenienza dei professionisti della politica: i parlamentari di centro-destra mostrano infatti, in prevalenza, un background occupazionale privato, mentre quelli di centro-sinistra si caratterizzano per una provenienza più eterogenea, distribuita sui tre gruppi, più o meno equivalenti, dei funzionari politici, del pubblico impiego e delle professioni private.
Al di là di questi mutamenti, è chiaro però che la montagna di aspettative degli anni Novanta ha partorito poco più che un topolino di realizzazioni concrete. Ma, secondo Verzichelli, gli effetti positivi, per quanto ridotti, non devono essere sottovalutati. Oggi i meccanismi di cooptazione e di selezione sono meno automatici, le piramidi delle élite sono comunque più permeabili e meno autoreferenziali rispetto al passato, e, infine, si sono affermate procedure che rendono più nitido il rendiconto (anche sulle competenze dei singoli). Ed è proprio a partire da questi piccoli risultati che Verzichelli propone alcuni strumenti in grado di ridurre la proliferazione quantitativa della classe politica. Per esempio mediante l’introduzione, negli statuti dei partiti, di un codice etico sul professionismo politico e di norme sull’eleggibilità.
Non si tratta di misure rivoluzionarie, ma solo di piccole proposte, volte a migliorare la qualità della classe politica, su cui iniziare a riflettere. Il problema non è d’altronde quello di sostituire politici professionisti e irresponsabili con politici dilettanti e incompetenti. Ma, piuttosto, di ripensare il sistema di controlli all’interno del quale la classe politica si trova ad operare. Anche perché non sempre, nelle democrazie contemporanee, l’elettore ha la possibilità, il tempo e le competenze per valutare davvero l’operato dei propri governanti.
Damiano Palano
Luca Verzichelli, Vivere di politica. Come (non) cambiano le carriere politiche in Italia, Il Mulino, 2010, pp. 156, euro 13.00
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