domenica 3 aprile 2011

Genealogia del pirata



Nell’immaginario collettivo, l’iconografia del pirata deve molto alle pagine di autori come Robert L. Stevenson, Jules Verne o Emilio Salgari. Grazie a questi straordinari scrittori, la sagoma del pirata assume anche per noi le fattezze di Long John Silver, del capitano Nemo o di Sandokan, continuando così a esercitare il fascino delle creature misteriose. Naturalmente, i ritratti dipinti da Salgari e dai suoi illustri predecessori non erano affatto realistici. Si trattava piuttosto di un’efficace opera di reinvenzione, della rilettura di un’iconografia popolare che trovava nelle pagine dei romanzi d’avventura una sorta di consacrazione, ma che certo non riempiva il vuoto di conoscenze sulla realtà storica della pirateria, sulle sue pratiche, sulla sua umanità di reietti.
È anche per colmare questa lacuna che Gilles Lapouge, in Pirati. Predoni, filibustieri, bucanieri e altri «pezzenti del mare» (Excelsior 1881, 2010, pp. 212, euro 18.50), ripercorre – con una sorta di evocativo ‘viaggio letterario’ – le traiettorie storiche di un fenomeno antichissimo. Un fenomeno di cui parlava già Omero nell’Odissea, ma che entra nella stagione di maggior sviluppo a partire dal XVI secolo, quando le rotte si estendono verso il Nuovo mondo. Il Cinquecento è così l’epoca della grande pirateria inglese, ambiguamente sostenuta dall’aristocrazia e persino incoraggiata da Elisabetta I. E se con Giacomo I comincia il declino dei pirati inglesi, i ribelli del mare spostano il baricentro delle loro attività criminali verso il Nuovo continente. Bucanieri e filibustieri trovano allora la capitale nella piccola isola di Tortuga, che rimane il loro regno incontrastato per buona parte del Seicento. Ma quando la pace di Utrecht (1713), ristabilendo la concordia in Occidente, priva la pirateria di ogni patente politica, inizia il lungo declino, che dura per più di un secolo, fino alla metà dell’Ottocento.
Negli ultimi anni, le cronache hanno però riportato di nuovo alla ribalta la pirateria marittima, che in diverse aree del mondo è tornata a costituire un fattore rilevante di insicurezza. Ovviamente i pirati di oggi hanno ben poco in comune con i vecchi filibustieri, soprattutto perché questa forma di criminalità riflette, nelle sue evoluzioni, le trasformazioni che intervengono nelle tecniche di navigazione e nel diritto internazionale. È anche per tali motivi che, nel Il Nemico di tutti. Il pirata contro le nazioni (Quodlibet, 2010, pp. 286, euro 22.00), Daniel Heller-Roazen, docente di Letteratura comparata all’Università di Princeton, ricostruisce una sorta di ‘genealogia’ della pirateria. Una genealogia che si pone l’obiettivo di portare alla luce le peculiarità della figura giuridica del «pirata», ossia di quel particolare tipo di criminale che già Cicerone, nel De officiis, definiva come «il nemico comune di tutti». In sostanza, per quanto il fenomeno attraversi nella sua storia trasformazioni radicali, la figura del pirata pare sempre contrassegnata da alcuni elementi di fondo, riconducibili a un vero e proprio «paradigma». Innanzitutto, la pirateria opera in una regione in cui vengono applicate norme giuridiche straordinarie. In secondo luogo, il pirata si rivolge indiscriminatamente contro individui e associazioni politiche, e per questo può essere definito come ‘nemico di tutti’. Inoltre, il pirata non è né un criminale né un nemico politico, ma qualcosa di diverso: è un nemico per l’intera comunità internazionale, la quale può perciò adottare strumenti di difesa eccezionali, polizieschi e politici.
Gli elementi di questo paradigma possono essere ritrovati nel mondo greco-romano, nel Medioevo e soprattutto nella lunga stagione dello jus publicum europaeum. Ma, anche dopo la scomparsa dei vecchi filibustieri, il paradigma non cessa di funzionare, perché i tratti del pirata vengono scorti in altre condotte e in altri spazi. Come, per esempio nello spazio sottomarino (con l’affondamento del Lusitania, nel 1915), nello spazio aereo (con la nascita dei «pirati dell’aria») o nello spazio virtuale di Internet. Con l’inizio del XXI secolo, il «nemico di tutti» viene infine ritrovato anche sulla terraferma, negli ‘Stati falliti’, all’interno dei quali possono proliferare attività riconducibili alla pirateria.
Secondo Heller-Roazen, la rinascita contemporanea del pirata è in sostanza un effetto dell’estensione dell’ordine statuale a tutto il globo. In questo quadro, quando una regione fuoriesce dall’ordine, configura uno spazio di disordine in cui è possibile riconoscere la pirateria. E, così, «non è più il pirata a essere definito dalla regione in cui si muove», ma «è la regione della pirateria a essere desunta dalla presenza del pirata». Per questo, si tratta di una trasformazione radicale, che configura la lotta contro l’odierno «nemico di tutti» come un elemento duraturo dello scenario internazionale. E, fatalmente, anche di una trasformazione che non può che alimentare rischi notevoli. Uno dei quali è ovviamente la tentazione di intendere la guerra contro un nemico eccezionale come una guerra eccezionale. Come una guerra perpetua, condotta – in nome dell’umanità – con strumenti eccezionali. E, soprattutto, come una guerra senza limiti e senza alcun vincolo morale.

Damiano Palano


(da "Avvenire", 27 ottobre 2010)

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