(da "Avvenire", 2 febbraio 2011)
Benché il nome di Gabriel Tarde (1843-1904) sia oggi in gran parte dimenticato, il magistrato e sociologo francese ebbe un ruolo notevole nel dibattito degli ultimi due decenni dell’Ottocento. Per molti versi, Tarde rimase sempre una sorta di ‘dilettante’ delle scienze sociali. Iniziò infatti a occuparsi di criminologia e sociologia solo a margine della sua attività principale, che fu a lungo quella di magistrato nella cittadina di Sarlat. Inoltre, la sua vera e propria carriera accademica iniziò molto tardi e si concluse subito dopo, con la morte improvvisa. Ciò nonostante, Tarde riuscì a influire molto sulla discussione del suo tempo, fornendo anche una visione delle scienze sociali alternativa rispetto a quella che si sarebbe poi imposta nell’accademia francese.
I primi passi di Tarde sulla scena intellettuale furono in gran parte legati alla critica dell’antropologia criminale di Cesare Lombroso. Gli elementi di questa posizione possono essere oggi riletti nel volume Il tipo criminale. Una critica al “delinquente-nato” di Cesare Lombroso (Ombre corte, pp. 94, euro 10.00), che riproduce uno dei primi articoli di Tarde. In questo testo, il magistrato francese esaminava a fondo le tesi di Lombroso, ma, come chiarisce bene Sabina Curti nell’introduzione, non contestava l’idea che ci fosse effettivamente un «tipo criminale». Più semplicemente, contestava che un simile «tipo» fosse il prodotto di degenerazioni e di atavismo, come sosteneva invece Lombroso nell’Uomo delinquente. Per Tarde, infatti, il «tipo criminale» appariva solo come una sorta di ‘tipo professionale’, le cui caratteristiche comuni erano il prodotto della reciproca imitazione .
Proprio il meccanismo dell’imitazione è d’altronde il pilastro su cui si regge l’intera teoria sociologica di Tarde. In un famoso saggio, anch’esso da poco ripubblicato, Che cos’è la società? (Cronopio, pp. 77, euro 9.50), lo studioso francese esponeva nel modo forse più chiaro questa tesi. In sostanza, per Tarde ciascuno di noi non fa che imitare inconsciamente gli altri: si può imitare un modello che si ritiene superiore, oppure – come avviene soprattutto nelle società più avanzate – si possono imitare i propri simili, ma il punto è che ognuno di noi si muove imitando chi gli sta vicino e gli individui che ritiene ‘prestigiosi’. Per questo, scriveva Tarde, “la società è imitazione, e l’imitazione è una specie di sonnambulismo”. Naturalmente, il sociologo di Sarlat non sottovalutava il ruolo dell’invenzione. Ma sottolineava però che la società moderna tende a ‘intorpidire’ le facoltà creative. Secondo le sue parole, “pensare in modo spontaneo è sempre più faticoso che pensare attraverso gli altri”. Così, “ogni volta che un uomo vive in un ambiente animato, in una società intensa e varia, che gli offre spettacoli e concerti, conversazioni e letture sempre nuove, si dispensa gradualmente da ogni sforzo intellettuale”. E, allora, le vetrine dei negozi, il movimento delle strade, la concitazione sfrenata non possono che trasformare ognuno di noi in una sorta di sonnambulo. Un sonnambulo dotato di una straordinaria capacità imitativa, ma sempre meno capace di pensare in modo spontaneo, e anche di creare qualcosa di realmente nuovo.
Damiano Palano
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